René Higuita, portiere goleador amico dei narcos, è ricordato ancora oggi come una delle figure più eccentriche della storia del calcio
Nato in Colombia, divenuto celebre nel mondo. Ha fatto da mediatore in un rapimento ed è stato in carcere, perdendo USA '94. Col suo stile ha rivoluzionato il ruolo del portiere. Karl Engel: «Era fuori dagli schemi, ha portato spettacolo. Da collega l'ho apprezzato».
MEDELLIN - Non è uscito da un film né da un fumetto, eppure avrebbe avuto tutte le carte in regola per esserne un personaggio. Scenico, bizzarro, mai banale. Nella vita come nelle giocate. È stato un precursore dell’impostazione dal basso, quella tanto cara ai portieri moderni. Certo, alla sua maniera. Spingendosi anche un po’ oltre - per usare un eufemismo - e prendendosi qualche “piccolo” rischio di troppo. Avete presente quando la vostra squadra vi tiene col fiato sospeso? Con lui i deboli di cuore sarebbero spacciati. Stiamo parlando di René Higuita, classe 1966, un Indimenticabile dello sport che ha segnato l’immaginario collettivo.
Detto “El Loco”, è nato a Medellin e della Colombia è diventato un simbolo, guadagnandosi in Patria lo status di leggenda insieme ad alcuni altri giocatori di quella generazione di talenti. A lui, in fondo, hanno perdonato tutto. Al mondo si è fatto conoscere con le sue pazzie e le sue invenzioni. Ha guadagnato gloria e fama, diventando il Re Scorpione.
Le origini del mito
Servirebbe un libro per raccontare la sua storia e quelle che ci girano attorno, ma ci limiteremo ai fatti più essenziali. Eccentrico showman, capelloni da rockstar, ma anche un buon portiere. Poco più di un metro e settanta - oggigiorno sarebbe “tagliato” in un amen - ma grande esplosività, senso della posizione e intuito. Era molto bravo a parare i rigori, oltre che a batterli (al pari delle punizioni).
Da piccolo vendeva giornali per strada e volevano indirizzarlo verso gli studi in medicina. Persa la madre è cresciuto con la nonna, che dopo un po’ ha dovuto desistere e “lasciarlo” alla sua passione: il calcio. Primi passi da attaccante - come tecnica e controllo palla non scherzava - poi la svolta a difesa dei pali. Il debutto tra i professionisti nel 1985 con i Millonarios, ma è con l’Atlético Nacional de Medellín - suo grande amore raggiunto l’anno seguente - che ha costruito le sue fortune.
La Libertadores e non solo
Ha vinto due campionati colombiani e trofei prestigiosi anche a livello internazionale. Leggasi una storica Copa Libertadores nel 1989 - prima squadra colombiana a riuscirci - e due Copa Interamericana. Sempre nel 1989, a Tokyo, sfiorò un’impresa colossale contro il Milan di Sacchi nella finalissima di Coppa Intercontinentale (1-0 con gol di Evani). Nel mezzo alle sue due “vite” al Nacional c’è stata anche una breve parentesi in Europa, con gli spagnoli del Valladolid (15 partite nel 92/93). Dal 1997 in poi ha “girovagato” in diverse squadre colombiane e provato qualche altra esperienza in Sud America tra Messico, Ecuador e Venezuela, senza particolari fortune. Nel 2008/09 sarà il Deportivo Pereira la sua ultima squadra, col ritiro alla veneranda età di 43 anni.
Notte magiche e notti amare
Nei club si è guadagnato rispetto e credibilità (nonostante le sue “mattate”), ma è con la Nazionale che si è fatto conoscere al mondo, tanto da essere inserito nelle “Leggende del Golden Foot” nel 2009. Con la Colombia ha giocato 68 partite e segnato 3 gol. Ai Mondiali di Italia ‘90, quello delle notti magiche di Gianna Nannini e Bennato, è stato protagonista insieme a Valderrama (altra figura iconica). Girone superato anche grazie alle sue ottime performance, sia nel pari con la Germania Ovest di Matthäus - poi campione del Mondo - che contro Jugoslavia ed Emirati Arabi. Negli ottavi, contro il Camerun, il disastro. Ai supplementari, in una delle sue tipiche escursioni fuori area, perse palla dopo il passaggio di un compagno regalando l’1-0 a Roger Milla (altro Indimenticabile). Colombia infine sconfitta 2-1 ed eliminata. Un boccone amarissimo, un segno indelebile (c’è chi, anche da “fuori”, gli diede del clown). In Copa America un quarto e un terzo posto (1991 e 1995). A USA ‘94 è stato invece uno dei grandi assenti. Come mai? Qui la storia si fa complessa…
Narcos e galera
La sua amicizia con Pablo Escobar, capo del cartello di Medellin, non è mai stata un segreto. Rapporti che gli sono costati nel corso della carriera. Nel 1991, dopo una sua visita in carcere, lo scandalo fu enorme e la Federcalcio lo sospese. Ma questo è ancora niente. Nel 1993 invece di difendere la porta della Colombia verso USA ‘94, è lo stesso Higuita ad essere dietro le sbarre. Paga per aver fatto da mediatore con un ruolo attivo tra i narcos e Luis Carlos Molina, ex dirigente del Nacional che gli chiese aiuto poiché la figlia era stata rapita. Col suo intervento si arrivò alla liberazione della ragazza, ma per le leggi vigenti - senza aver avvertito la polizia e avendo ricevuto un compenso (non richiesto) - finì nei guai. Seri. Per farla breve si ritrovò nel carcere “La Picota” di Bogotà, dove restò 7 mesi prima di essere prosciolto. Ma intanto i Mondiali erano sfumati. Nel mezzo la visita del ct dei Cafeteros Francisco Maturana: «René è un ragazzo straordinario, è stato lui a fare coraggio a me. Mi ha detto di partire tranquillo e di abbracciare tutti i suoi compagni. Lui non è capace di fare del male a nessuno, e se ha sbagliato lo ha fatto in buona fede, non conoscendo la legge».
"El Escorpion"
In Nazionale ci tornerà e consegnerà alla storia il gesto più folle visto fare da un portiere. In un’amichevole a Wembley tra Inghilterra e Colombia, il 6 settembre 1995. La mossa dello Scorpione consisteva nel lasciar passare la palla fin dietro alla testa, per poi colpirla e respingerla in tuffo acrobatico coi tacchetti a un nulla dalla linea di porta (a braccia abbassate). Lo fece su tiro di Redknapp tra lo stupore generale e gli applausi del pubblico. La partita, tra parentesi, finì 0-0. Mai visto niente del genere. «Se l’avesse fatta un argentino - tanto per non rimarcare la rivalità… - questa mossa avrebbe fatto il giro del mondo», disse Higuita al tecnico (allibito) e ai compagni. Non sapeva che, in effetti, è proprio quella che stava già accadendo…
Da lì in poi tutti si aspettavano lo scorpione e glielo “chiedevano”. Anche Maradona, con un tiro da lontano, una volta innescò il marchio di fabbrica del Loco. A tutte queste pazzie vanno aggiunte doti balistiche fuori dal comune. Nella leggenda una sua punizione contro il River Plate nella semifinale di Copa Libertadores. Argentini battuti 1-0 a Medellin e poi eliminati. In totale in carriera ha segnato più di 40 gol.
«Era fuori dagli schemi. Un personaggio diverso, molto positivo e particolare coi suoi riccioli - ci spiega Karl Engel, ex portiere della Nazionale rossocrociata - Al calcio ha fatto del bene e ha portato spettacolo. Da collega di reparto l’ho apprezzato».
Da allenatore - ricordiamo che col Lugano Engel ha vinto una Coppa Svizzera - lo avresti voluto?
«Beh, vuol dire che saremmo stati un'ottima squadra… (ride, ndr). Sì lo avrei voluto, però giocava col fuoco. È stato un buon portiere. Poi c’era tutto il resto. Era difficile da gestire. Sicuramente era più adatto al calcio sudamericano, ideale per un artista come lui. In Europa ha fatto un tentativo al Valladolid ma è andato malissimo tra nostalgia di casa e quant’altro».
Oltre che per la mossa dello scorpione, è diventato celebre per le sue escursioni fuori dall’area e i suoi dribbling. Per Maturana, ct della Colombia che lo adorava, era preziosissimo in fase di costruzione. Un difensore aggiunto.
«Ha anticipato l'impostazione dal basso ed era bravissimo coi piedi. Per l’epoca era avanti. Anche oggi potrebbe dire la sua… tra gioie e dolori. Con lo scorpione è entrato nelle case della gente. È vero che a Italia ‘90 ha sbagliato, ma prima aveva trascinato i suoi a suon di parate. Fattori che vanno pesati. In campo era capace di lasciarti a bocca aperta e farti sorridere, ma per un allenatore immagino non fosse sempre semplicissimo da gestire… (ride, ndr). Prendere o lasciare. Non potevi cambiarlo».