L'allenatore del Mendrisio Amedeo Stefani: «C'è un forte legame con questa città, cerco ogni giorno di ripagare chi mi ha dato fiducia».
«Io interista sfegatato, ma Antonio Conte sulla panchina - uno juventino DOC - mi dava fastidio...».
MENDRISIO - Quando una società ti chiede una salvezza tranquilla ma tu sei secondo in classifica e in odore di finali per la Promotion League, significa che stai facendo qualcosa di straordinario e che la mano dell'allenatore c'è eccome. È il caso del Mendrisio di Amedeo Stefani, squadra di Prima Lega che sta portando avanti un campionato nettamente al di sopra delle aspettative. Senza paura di soffrire di vertigini.
«Pensate che eravamo partiti per salvarci - ci ha detto proprio Stefani, "pilota" della squadra momò, della quale è stato giocatore ed è tifoso da sempre e che attualmente è seconda in classifica (le prime due disputano le finali per l'ascesa in Promotion League) - Due anni fa la società ci aveva chiesto la promozione in Prima Lega, che l'anno scorso era arrivata al primo colpo, mentre oggi siamo secondi... Ci aspettavamo un campionato difficile, un po' diverso rispetto a dove ci troviamo oggi, ma quando a disposizione hai un gruppo molto affiatato e competitivo, le cose possono cambiare».
...e se l'appetito vien mangiando...
«Io sono una buona forchetta... (ride, ndr) Scherzi a parte, stiamo facendo qualcosa di straordinario. Il motore della nostra macchina sta girando oltre i giri ordinari, ma vogliamo rimanere calmi e finire bene il campionato. Poi vedremo dove saremo».
Raccontaci come sei arrivato dove sei oggi...
«Diciamo che il mio percorso è stato abbastanza lineare. Ho fatto tutta la trafila a Mendrisio, iniziando a giocare all'età di cinque anni. Ho girato alcune squadre ticinesi, poi un giorno ho deciso di smettere. Mi sono preso un anno di pausa in seguito al quale ho iniziato ad allenare. Sono cresciuto a Mendrisio, c'è un forte legame con la mia città e non vedevo l'ora di avere questa chance. Cerco ogni giorno di ripagare chi mi ha dato fiducia».
Eri già un allenatore in campo?
«Diciamo che ero un bel rompiscatole. Oltre all'aspetto agonistico, ho sempre cercato di essere d'aiuto per i miei compagni. Volevo che tutti fossero sul pezzo, concentrati e che ognuno desse il massimo».
Quando in rosa ci sono giocatori come Antoine Rey, tutto diventa più semplice per gli allenatori?
«È un grande esempio per tutti. Pratica il calcio con dedizione, professionalità e con una leggerezza che è contagiosa. Ma abbiamo tanti Antoine Rey in squadra, che non fanno altro che semplificare il mio compito e quello del mio vice Sandro Reclari».
Non da ultimo, recentemente, c'è stato l'innesto di un certo Mario Gavranovic...
«Speriamo di rivederlo presto in campo perché ha avuto un infortunio parecchio fastidioso. I giocatori come Mario sono i più facili da gestire perché hanno tanta umiltà e sono consapevoli della fatica che si cela dietro al raggiungimento di ogni traguardo. È solo un piacere vederlo in campo, tutti ne giovano della sua presenza».
Nel 2022, dopo un gol oltre il 90', una tua esultanza in quel di Ibach era diventata virale: via la maglia e corsa in campo...
«Non ero riuscito a trattenermi. Era un gol pesante in una sfida che sembrava maledetta e che non si sbloccava, era importante per staccare gli altri e far capire che volevamo vincere il campionato. Quella vittoria era stata una sorta di spartiacque e il gol mi ha fatto uscire tutte le emozioni. So che non era il massimo del panorama, anche perché faceva un freddo terribile (ride, ndr)».
Sei anche un appassionato di sport "da divano"?
«Solo di calcio, gli altri sport li seguo marginalmente. Sono un gran tifoso dell'Inter, della quale ero abbonato fino a quando sono diventato allenatore del Mendrisio».
Quanto è forte l'amore per i nerazzurri?
«Tiferò l'Inter anche se un giorno dovesse andare in Serie B. Non è questione di giocatori o allenatore, i colori nerazzurri sono al di sopra di tutto. La società sta lavorano molto bene, a 360 gradi. C'è molta stabilità, riescono sempre a fare un ottimo mercato senza nemmeno spendere troppo sfruttando i parametri zero e le occasioni che si presentano. Questo va riconosciuto all'Inter... Posso dire però che, quando in panchina c'era Antonio Conte, uno juventino DOC, mi dava fastidio... Anche se gli va riconosciuto d'aver fatto bene».
C'è un allenatore al quale ti ispiri?
«Adesso vi sorprenderò: come personaggio e come stile mi dà sempre una grande carica l'allenatore del Taranto Ezio Capuano. Sono molto casereccio e apprezzo molto il modo in cui si pone. Se invece devo andare un po' più in alto dico Carlo Ancelotti. Quando vedi che tutti i giocatori passati sotto la sua ala gli vogliono un gran bene, vuol dire che - ancor prima di un ottimo coach - è soprattutto una persona eccezionale. Ed è quello che, nel mio piccolo, cerco di portare tutti i giorni a Mendrisio».
Riesci nella tua missione?
«Ci provo ogni giorno. L'importante è sempre essere sé stessi, consapevoli del fatto che devi fare delle scelte, talvolta anche difficili. Dietro a esse non c'è mai un secondo fine: semplicemente in quel momento e in quel contesto le reputi le migliori. Con il vice Reclari non c'è quasi bisogno di parlare, ci capiamo con gli sguardi. È questo il segreto... Non c'è alcun malcontento di qualsiasi giocatore che possa scalfire il nostro rapporto, perché le mura della torre di controllo sono solide. Lo stesso vale con la società, con la quale c'è un ottimo rapporto».