Amalia Mirante (Avanti con Ticino&Lavoro) analizza la critica situazione lavorativa e indica le possibili vie d'uscita
BELLINZONA - Il rischio, se non si interverrà rapidamente, è di assistere a un progressivo svuotamento del cantone, con i giovani pronti a spostarsi dove condizioni di lavoro e di vita sono migliori. Questo lo scenario futuro tratteggiato da Amalia Mirante (Avanti con Ticino&Lavoro) che ieri insieme ai colleghi Evaristo Roncelli e Giovanni Albertini, hanno presentato "Ripartiamo dal Lavoro: un nuovo Patto Sociale per il Ticino"
Come si può pensare di creare occupazione senza prima sanare un’economia palesemente in crisi, con sempre più aziende in difficoltà e una crescita del numero dei disoccupati in Ticino?
«Lo si deve fare. È proprio ora che la situazione è così critica che vanno cercate delle soluzioni per un cantone come questo che soffre di gravi problemi, legati al mondo del lavoro. Deve tornare ad essere il tema politico per eccellenza. Il rischio è alto».
Quali i mezzi per cercare di invertire la rotta?
«Nel nostro pacchetto di proposte (formato da ben 14 mozioni che verranno presentate a breve) si affronta ogni aspetto connesso al mondo del lavoro. Si parte dalle condizioni quadro, fino a scendere nei temi specifici come ad esempio la mancanza di posti di lavoro per gli apprendisti. Analizzando come poter sostenere i giovani invogliandoli a rimanere qui con proposte concrete».
Inevitabile non parlare, soprattutto considerata la vicinanza con il confine italiano, della concorrenza dei lavoratori frontalieri.
«È un tema decisivo. C’è ovviamente questa concorrenza che, voglio però specificare, è capace, competente e qualificata. Ma, essendo i salari italiani bassi rispetto a quelli ticinesi, è normale che ciò funzioni da leva per tutti quei frontalieri che ogni giorno superano la dogana per un salario non altrettanto allettante per uno svizzero. Una discrepanza che può, e lo sta già facendo, creare un solco nel mondo occupazionale».
E dunque quali i rischi concreti che possono materializzarsi in Ticino?
«Sono diversi e allarmanti. Questo perché da qui vanno via i giovani per andare a formarsi altrove, vanno via i giovani non appena trovano un’occupazione a condizioni migliori, cosa che non è molto difficile visti i salari medi ticinesi. E adesso anche i pensionati che non riescono più a vivere qui cambiano luogo dove vivere. Il rischio concreto è che il cantone si svuoti sempre di più e diventi solo una grande fabbrica dove ogni giorno i lavoratori, a partire dai frontalieri, arrivano, lavorano e poi se ne tornano a casa»
Un dato statistico indica come fra il 2010 e il 2020 la differenza mediana dei salari lordi è passata da 842 a 1'119 franchi mensili. Gli ultimi dati del 2022 appena pubblicati accentuano ulteriormente questa differenza aumentando a 1'198 franchi il divario salariale tra il Ticino e gli altri cantoni.
Senza contare le cifre che inquadrano il fenomeno della disoccupazione. Numeri positivi a livello nazionale ma non altrettanto in Ticino.
«Secondo i criteri dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) in Ticino è di gran lunga superiore rispetto alla media nazionale e a quella rilevata secondo la SECO (2.5-3%). Senza considerare il dato di chi è senza lavoro ma non lo dichiara».
Quale dovrà essere allora il ruolo della politica?
«Un anno fa abbiamo provato a lanciare il dibattito in Parlamento ma il tema del lavoro non sembra proprio essere passato. Il nostro è un invito a tutti i partiti, soprattutto a quelli che hanno più potere di noi, a dedicarsi a questa realtà critica che coinvolge un numero sempre maggiore di persone».