Quattro anni fa la vittoria del Sì all'iniziativa popolare ‘Contro l’immigrazione di massa’: storia, analisi politica e sociale di un pezzo di storia recente svizzera.
Sono trascorsi quattro anni da una delle votazioni più sentite e polemizzate della nostra storia. Lanciata dall’UDC nel 2011 e depositata il 14 febbraio del 2012 con 135.557 firme valide, l’iniziativa popolare ‘Contro l’immigrazione di massa’ si proponeva di chiedere un cambiamento della politica sulla immigrazione di cittadini stranieri in Svizzera. il 9 febbraio del 2014 i Cantoni svizzeri hanno accolto tale iniziativa con il 50,3% dei voti e una maggioranza di 17 Cantoni su 26. In Ticino l’iniziativa fu approvata dal 68.17%. Nonostante la chiara volontà popolare il voto non si è ancora concretizzato in una chiara legge. In questo dossier viene ricostruita la storia di quell’iniziativa popolare, e tutti i problemi politici che ne sono derivati.
L’iniziativa si articolava in quattro punti chiave: la gestione autonoma del fenomeno immigrazione da parte del Paese elvetico, la fissazione di tetti massimi e contingenti annuali da applicarsi a tutte le categorie di stranieri, compresi i richiedenti asilo e i frontalieri, il rilascio dei permessi di soggiorno stabilito dalla Confederazione in funzione degli interessi globali dell’economia svizzera e nel rispetto del principio della preferenza data ai lavoratori elvetici.
Per ultimo si chiedeva la rinegoziazione di tutti i trattati siglati con l’Unione Europea sulla libera circolazione delle persone. I promotori dell’iniziativa, tra cui appunto l’UDC, la Lega dei Ticinesi, la sezione ticinese dei Verdi e il ‘Mouvement citoyens genevois’, ritenevano infatti che l’introduzione dell’Accordo sulla libera circolazione con l’UE, entrato in vigore il 1 giugno del 2002, avesse avuto effetti negativi per l’economia svizzera, penalizzando i lavoratori elvetici a favore della manodopera straniera economicamente più vantaggiosa.
La percentuale di immigrati in Svizzera è sempre stata molto alta: già nel 1910 la proporzione era del 14,7% per poi toccare il 16,8% nel 1974. La proporzione degli stranieri è poi continuata a crescere arrivando al 18,1% nel 1990 e al 23,3% nel 2012.
Dall’entrata in vigore degli accordi sulla libera circolazione la grande maggioranza della popolazione straniera presente in Svizzera proviene da Paesi dell’Unione Europea, e di questi gli italiani rimangono al primo posto con una percentuale del 15,9% seguita poi dai tedeschi al 15,2%. La popolazione svizzera, conti alla mano, è aumentata di 1,5 milioni in 30 anni, per arrivare, ai giorni nostri, ad oltre 8 milioni di persone.
Prima iniziativa: Il fenomeno immigratorio, dal secolo scorso ad oggi, è stato oggetto di diverse iniziative popolari che si proponevano di trovare misure di contenimento all’immigrazione di cittadini stranieri in Svizzera. Il primo segnale in questo senso fu l’iniziativa popolare, lanciata nel 1965 dal Partito Democratico del Canton Zurigo, contro quella che allora venne definita ‘Uberfremdung’, ovvero ‘inforestierimento”, bocciata dal Parlamento federale e ritirata nel 1968.
Seconda iniziativa: Più nota fu senz’altro l’iniziativa del 1969 proposta dal parlamentare dell’Azione nazionale James Schwarzenbach, che chiedeva di fissare un tetto massimo del 10% per la popolazione straniera. Tale iniziativa venne respinta nel 1970 dopo una durissima campagna che ebbe un’eco internazionale.
Terza iniziativa: La terza iniziativa popolare, proposta sempre da Schwarzenbach nel 1972, chiedeva di fissare un tetto massimo del 12% di popolazione straniera e anch’essa fu bocciata nel 1974 dal 68,5% dei votanti. I cittadini svizzeri furono chiamati alle urne anche nel 1977: si voleva introdurre un limite del 12,5% della popolazione straniera a livello nazionale ma tale referendum fu bocciato col 70,5% di voti contrari.
Iniziative respinte: Altre due iniziative furono proposte al popolo svizzero nel dicembre del 1988 e nel settembre del 2000 ma entrambe vennero respinte. Di contro, la politica adoperata nei confronti del fenomeno migratorio fino al referendum del febbraio 2014, ha ottenuto più volte un ampio sostegno popolare.
Il 21 maggio del 2000, infatti, l’introduzione della libera circolazione delle persone con l’Unione Europea ha ottenuto il 67,2% dei consensi popolari mentre gli Accordi di Schengen e Dublino che regolano la politica di migrazione e d’asilo in collaborazione con l’Unione Europea sono stati approvati il 5 giugno 2005 con il 55% dei consensi.
L’Accordo sulla libera circolazione delle persone è il pilastro su cui si fondano le relazioni tra Svizzera e Unione Europea, permettendo anche ai cittadini elvetici di lavorare e soggiornare nei Paesi Ue e Aels senza alcun permesso speciale. Tali accordi contengono inoltre una ‘clausola di salvaguardia’ che permette di porre un tetto massimo per gli stranieri provenienti dai Paesi dell’UE in casi di afflusso eccessivo e tale clausola è stata fatta valere dalla Svizzera sia nel 2012 sia nel 2013.
L'incompatibilità dell'iniziativa: Il Consiglio federale e la grande parte dei partiti politici, invece, ha sempre affermato la totale incompatibilità dell’iniziativa con l’Accordo di libera circolazione con l’UE che ha portato grandi benefici economici alla Svizzera inserita, grazie ad esso, in un contesto internazionale. Se infatti, è lo stesso Consiglio a rilevare la situazione particolare di alcuni Cantoni di frontiera in cui la presenza di frontalieri ha comportato un aumento della disoccupazione della popolazione indigenza, d’altro canto lo stesso sottolinea come, nell’insieme, la situazione salariale sia rimasta stabile e i settori più colpiti dalla immigrazione UE hanno presentato tassi di disoccupazione inferiori alla media.
Eppure, nonostante ciò, il fenomeno immigrazione è rimasto evidentemente come spina nel fianco ed il crescente sentimento di insoddisfazione di una parte della popolazione nei confronti degli stranieri, lavoratori e richiedenti asilo, è stato il cavallo di battaglia dell’UDC e degli altri partiti sostenitori dell’iniziativa popolare ‘Contro l’immigrazione di massa’.
I nervi scoperti: stranieri e disoccupazione: A sostegno della vittoria del Sì nel referendum costituzionale, destinato ad introdurre il nuovo l’art. 121a della Costituzione, si argomentava infatti come in Svizzera si assista da tempo ad un flusso migratorio che porta ogni anno oltre 80.000 nuovi stranieri con conseguente aumento dei prezzi degli alloggi, del traffico e dell’inquinamento, oltre che di un tracollo della richiesta di lavoratori indigeni. I sostenitori dell’iniziativa popolare infatti hanno sempre dichiarato che, a differenza di quanto affermato dal Consiglio federale e le forze politiche contrarie al referendum, solo il 6% dei migranti sono lavoratori specializzati, mentre il 24% sono persone che beneficiano del ricongiungimento e ben il 70% sono lavoratori poco specializzati disposti a lavorare per miseri salari.
Se da una parte i promotori si scagliano contro la crescente disoccupazione giovanile e degli immigrati nonché contro la percentuale di stranieri che grava sulle assicurazioni sociali, dall’altra gli oppositori all’iniziativa replicano che non ci sono dati certi sul fatto che gli stranieri approfittino della assicurazione più di quanto paghino. Secondo questi ultimi, le cifre riguardanti l’aiuto sociale gli stranieri provenienti dell’UE che si avvalgono dell’assicurazione sociale sono il 3,1% mentre gli Svizzeri sono il 2,2 %, quindi una differenza abbastanza contenuta e tollerabile.
Il vero problema rimane comunque l’Accordo sulla libera circolazione e le relazioni con l’Unione Europea e su questo punto l’UDC non ha mai nascosto il proprio desiderio di tornare a delle relazioni basate solo sul libero scambio, al di fuori di accordi vincolanti. Per i propositori dell’iniziativa popolare era necessario che la Svizzera acquisisca la facoltà di poter decidere autonomamente se accogliere o meno dei migranti e per quanto tempo, muovendosi nell’ambito di una politica di accoglienza che tenga conto, prima di tutto, degli interessi nazionali.
Chiamati ad esprimersi sulla proposta popolare con referendum, il 9 febbraio del 2014 i Cantoni svizzeri hanno accolto tale iniziativa con il 50,3% dei voti e una maggioranza di 17 Cantoni su 26. I sostenitori del Sì hanno ottenuto la doppia maggioranza necessaria, incassando sia il voto favorevole della maggioranza dei Cantoni sia la maggioranza dei voto validi. Il No ha prevalso in tutti i cantoni di lingua francese e nel Canton Zurigo. La regione dove l’iniziativa ha riscosso maggior consenso è stato il Canton Ticino dove i Sì si sono fermati poco sotto il 70% (68.17% per l'esattezza): un successo determinante a livello nazionale e caratterizzato da una campagna pro referendum dai toni xenofobi dove i frontalieri sono stati ritratti come ratti che rubano il formaggio.
Una scelta cosciente: Fedeli alle loro convinzioni antieuropeiste in Ticino si è quindi avuto un risultato quasi plebiscitario avendo votato per il Sì 7 cittadini su 10; gli unici comuni dove ha prevalso il No sono stati Mosogno, Isorno e Cerentino. Secondo le analisi condotte sullo storico voto del 9 febbraio è emerso che la maggioranza della popolazione ha votato a favore della iniziativa popolare cosciente del possibile rischio di una rottura dei rapporti con l’Unione Europea.
Quasi il 90% dei favorevoli, infatti, si è dichiarato pronto ad assumersi il rischio di una possibile rescissione degli accordi bilaterali sulla libera circolazione con l’Ue. Emerge poi un dato ancora più interessante sul voto espresso: se nella Svizzera tedesca o romanda alcune percentuali di votanti si sono decise per il voto favorevole solo all’ultimo momento, in Ticino la scelta a favore della iniziativa popolare era già consolidata da tempo.
Altro dato che emerge con chiarezza è che la composizione dei votanti è risultata omogenea, indipendente quindi dal reddito, dalla formazione scolastica e dalla estrazione sociale. Ad orientare il voto nel Canton Ticino è di sicuro pesata la questione dei frontalieri e degli stranieri che ben il 30% della popolazione avverte come troppo numerosi.
Come cambia la Costituzione:
Con l’accettazione dell’iniziativa, la Costituzione federale è modificata con l’introduzione dell’art 121a che prevede che la Svizzera possa gestire autonomamente l’immigrazione degli stranieri, che il numero di permessi di dimora per gli stranieri in Svizzera sia limitato da tetti massimi annuali e contingenti annuali e che tali tetti e contingenti siano stabiliti in funzione degli interessi globali dell’economia svizzera e nel rispetto del principio di preferenza agli svizzeri.
Inoltre non possono essere conclusi trattati internazionali che contraddicano tale nuovo articolo. Le Disposizioni transitorie della Costituzione sono modificate dall’art 197 n 93 che al punto 1 stabilisce che “i trattati internazionali che contraddicono all’articolo 121a devono essere rinegoziati e adeguati entro tre anni dall’accettazione di detto articolo da parte del Popolo e dei Cantoni”.
Dal giorno successivo allo storico risultato del referendum costituzionale, l’attuazione della iniziativa popolare diventa il tema prioritario della agenda politica federale, e questo avviene tra mille difficoltà visto che il risultato referendario ha colto di sorpresa il Consiglio federale, le Camere e la maggioranza dei partiti che, fin da subito, si erano espressi per il No.
Ma già a luglio del 2014 dall’Unione Europea arriva la dura risposta alla proposta svizzera per bocca dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea, Catherine Ashton, secondo la quale: “rinegoziare l’accordo in vista della introduzione di limiti quantitativi e di quote, compresa la scelta nazionale in favore dei cittadini svizzeri, costituisce una contraddizione fondamentale”.
La posizione dell’Ue è chiara e va nel senso che nessun governo vincolato dai Trattati può permettersi di cavalcare posizione xenofobe e nazionaliste, allontanandosi dallo spirito dell’Accordo che vuole garantire invece la circolazione delle persone senza tetti e contingenti di sorta.La prima decisione successiva al referendum è del 16 febbraio 2014: il Consiglio federale decide di non firmare il protocollo che estende la libera circolazione alla Croazia.
La risposta dell’Unione Europea non si fa attendere e si esplica con il blocco del programma scientifico Orizzonte 2020 per la ricerca e quello per lo scambio di studenti Erasmus. Si crea una prima frattura con la Comunità europea che verrà sanata solo nel 2016 con la firma del protocollo e la riammissione del Paese elvetico al programma scientifico.
Rimane inoltre irrisolto il principale problema di come conciliare la volontà popolare di inserire restrizioni, tetti e contingenti all’immigrazione con l’Accordo bilaterale sulla libera circolazione delle persone. Il Consiglio federale opera su due fronti: su quello interno a giugno presenta un progetto nel quale prevede di contingentare tutti i lavoratori immigrati a partire da un periodo di soggiorno di 4 mesi e i frontalieri. Su quello esterno invece chiede a Bruxelles di rinegoziare l’Accordo.
Il mandato ticinese
La politica cerca di dipanare l’intricata matassa proponendo diverse soluzioni tra le quali, le più considerate, sono quelle del professor Reiner Eichenberger di una tassa sugli immigrati e quella dell’ex segretario di Stato Michael Ambühl che prevede una sorta di clausola di protezione che scatterebbe quando il tasso di immigrazione in Svizzera dovesse superare il livello medio di quello dell’Unione Europea ed è volta a favorire la manodopera indigena.
Si tratta del cosiddetto ‘mandato ticinese’: secondo il Consiglio di Stato infatti per attuare l’iniziativa popolare del 9 febbraio occorre considerare, oltre allo sviluppo quantitativo della immigrazione, anche l’impatto della libera circolazione sul mercato del lavoro in un’ottica attenta alle diverse esigenze cantonali. Per questo il Canton Ticino aveva dato mandato al professor Ambühl di elaborare una clausola di salvaguardia che tenga conto anche delle differenze salariali, della disoccupazione e del costo della vita al di qua e al di là della frontiera.
L'incontro europeo-elvetico
Il 2 febbraio del 2015 la consigliera federale Simonetta Sommaruga incontra a Bruxelles il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker per una serie di consultazione mentre l’11 febbraio dello stesso anno il Consiglio federale approva un avamprogetto di legge che prevede tetti massimi, contingenti e preferenza indigena da approvarsi annualmente tenendo conto dei bisogni dei Cantoni ma anche dalle analisi condotte da una sorta di commissione formata dalle autorità federali e cantonali della migrazione e di quelle preposte al mercato del lavoro, oltre che dalle parti sociali.
Mentre si cerca di trovare una soluzione all’ormai annoso problema dell’applicazione del nuovo articolo costituzionale, c’è anche chi chiede lo stralcio dell’art 121a dalla Costituzione federale. Il 27 ottobre del 2015 viene depositata l’iniziativa ‘Rasa’ (Raus aus der Sackgasse, cioè Fuori dal vicolo cieco) il cui testo è estremamente conciso: si chiede semplicemente di cancellare l’art 121a dalla Costituzione. Costituito nell’estate del 2015 e formato da esponenti della società civile contrari al referendum, tra cui il maggior finanziatore il miliardario Hans Iorg Wyss, il gruppo Rasa, nell’ottobre dello stesso anno, riesca a depositare la propria iniziativa con le 100 mila firme necessarie.
Spunta la clausola di salvaguardia: un tetto per i permessi
Il 4 marzo del 2016 il Governo presenta il disegno di legge tanto atteso: in esso è contenuta la volontà del Consiglio federale di continuare i colloqui con l’Unione Europea per raggiungere un accordo consensuale sull’attuazione del nuovo articolo costituzionale. In caso contrario viene previsto, come piano B, una clausola di salvaguardia unilaterale: se non si arrivasse ad un accordo tempestivo con l’Ue in merito ad una clausola di salvaguardia consensuale, il Governo elvetico applicherebbe unilateralmente la clausola di salvaguardia di modo da regolare unilateralmente ed in via autonoma il fenomeno migratorio dai Paesi Ue e Aels, introducendo dei tetti massimi e contingenti per il rilascio dei permessi.
La clausola di salvaguardia unilaterale prevede che il Governa fissi in una ordinanza il tasso massimo di immigrazione dai Paesi dell’Unione Europea e Aels, valore soglia, a partire dal quale dovranno essere stabiliti dei tetti massimi federali. In caso di superamento di tale limite in un determinato anno, per l’anno civile successivo scatterebbero dei tetti massimi da applicare al rilascio dei permessi di soggiorno ai cittadini Ue e Aels, con la possibilità di prorogare di un altro anno i tetti massimi stabiliti. Nello stesso disegno di legge vengono inoltre previste delle misure per incentivare la richiesta di manodopera indigena.
Nella sessione autunnale 2016 il Consiglio nazionale tratta quale Camera prioritaria il progetto presentato dal Consiglio federale decidendo di adottare, il 21 settembre, una cosiddetta ‘priorità light ai residenti’. Dopo 7 ore e 20 minuti di dibattiti e 126 voti favorevoli, 67 contrari e 3 astenuti, dopo due anni e mezzo di tentennamenti, il Parlamento ha finalmente concretizzato la propria proposta per applicare l’iniziativa contro l’immigrazione, accolta dal popolo il 9 febbraio 2014.
Il testo della legge, nella sua versione light, è volto a preservare la libera circolazione delle persone e, con essa, gli accordi bilaterali con l’Unione Europea. La prima novità riguarda il nome della legge che non sarà più ‘Legge federale sugli stranieri’ ma ‘Legge federale sugli stranieri e la loro integrazione’ (LStrl). La proposta della Commissione si articola in tre punti: in primo luogo prevede che il Consiglio federale elabori misure per sfruttare al meglio il potenziale di manodopera indigena, tra cui i cittadini svizzeri e gli stranieri già domiciliati nel Paese.
Il Governo dovrà inoltre determinare dei valori soglia a partire dai quali potrà essere introdotto un obbligo di comunicazione da parte delle imprese dei posti di lavoro vacanti (preferenza nazionale light). Questi valori dovranno tenere conto di diversi fattori tra cui l’immigrazione, la situazione a livello di mercato del lavoro e la congiuntura economica. In questo senso gli uffici di collocamento dovranno svolgere un ruolo determinante per il coordinamento e la trasmissione delle informazioni relative ai posti vacanti.
Se queste misure non si rivelassero sufficienti e il fenomeno migratorio dall’Unione Europea e dai Paesi Aels dovesse comunque superare un certo livello sul piano regionale o nazionale, l’Esecutivo potrà ricorrere a ‘misure correttive appropriate’.
Sarà quindi il Consiglio federale a decidere a partire da quale limite adottarle, per quanto tenerle in vigore e a quale categorie professionali applicarle. Se queste misure non dovessero essere compatibili con l’Accordo sulla libera circolazione delle persone, dovranno allora essere ridiscusse da una commissione mista Svizzera e Unione Europea.
Inoltre, in ossequio, ai requisiti costituzionali generali, a coloro che migrano in Svizzera sono richiesti espressamente la conoscenza del sistema giuridico elvetico e la conoscenza della lingua: un peso determinante viene dato quindi alla conoscenza linguistica e all’integrazione di cui vengono dettati specifici requisiti tra cui il rispetto della sicurezza e dell’ordine pubblico e la partecipazione alla vita economica del Paese.
Appoggiata da quasi tutti i partiti politici, tale legge d’attuazione ha però fatto infuriare l’UDC che ha parlato, per mezzo del suo capogruppo Amstutz di “funerale della Democrazia” e “di una violazione mai vista prima della Costituzione federale”. Il 1 dicembre del 2016 la proposta arriva sui banchi del Consiglio degli Stati, secondo il quale, in caso di forte disoccupazione, i datori di lavoro dovrebbero essere obbligati a convocare i disoccupati residenti e, se questi non fossero assunti, i datori di lavoro sarebbero tenuti a fornire delle giustificazioni.
Il 5 dicembre del 2016 la legge ripassa al Consiglio nazionale, il quale non approva l’obbligo di giustificare l’assunzione di manodopera non indigena; il 7 dicembre anche gli Stati rinunciano all’obbligo di giustificare l’assunzione di un disoccupato non iscritto all’Ufficio di collocamento. Di fatto il 9 febbraio del 2017 vengono a scadere i tre anni previsti per applicare l’articolo 121a della Costituzione federale senza che l’iter di legge sia concluso, motivo per il quale il Consiglio federale deve regolare l’immigrazione per via di ordinanza.
Il 28 giugno del 2017 il Consiglio federale avvia la procedura di consultazione sulle modifiche di ordinanza richieste per attuare la legge di applicazione dell’art 121a, consultazione che dura fino al 6 settembre dello stesso anno; tali modalità di attuazione dell’articolo costituzionale a livello di ordinanza vengono poi approvate dal Consiglio federale nella seduta dell’ 8 dicembre dello scorso anno.
L'obbligo di annunciare i posti vacanti: La legge prevede l’introduzione di un obbligo di annunciare i posti vacanti nelle categorie professionali in cui il tasso di persone in cerca di impiego raggiunge o supera una determinata percentuale. Lo stesso Consiglio ha deciso di procedere a tappe, applicando una percentuale dell’ 8% dal 1 luglio 2018 e del 5% dal 1 gennaio 2020: tale fase transitoria permetterà ai datori di lavoro e ai Cantoni di adeguarsi alla normativa e modificare, nel senso indicato dalla legge, la propria ricerca di lavoratori.
Il Consiglio federale ha recepito, a livello di ordinanza, altre modifiche di legge decise dal Parlamento il 16 dicembre 2016 e, in particolare, la decisione secondo la quale i rifugiati riconosciuti e le persone provvisoriamente ammesse in cerca di lavoro, devono essere denunciati presso il servizio pubblico di collocamento, anche se beneficiano dell’aiuto sociale. Tali ordinanza rivedute dovrebbero entrare in vigore il 1 luglio 2018, insieme alle modifiche di legge decise il 16 dicembre 2016.
Una nuova petizione UDC: Per una migrazione moderata
E se da una parte l’Unione Europea è soddisfatta dell’aver salvaguardato gli Accordi bilaterali da una deriva nazionalista e se molti dei partiti applaudono ad una soluzione di compromesso, l’UDC, che dell'iniziativa popolare del 2014 era stato l’ideatrice e la promotrice ha lanciato il 16 gennaio di quest'anno la petizione "Per una migrazione moderata", che mira a porre fine alla libera circolazione delle persone tra Svizzera e gli Stati membri dell’Unione Europea. E l’eterno capitolo sul problema della immigrazione in Svizzera sembra nuovamente riaprirsi. O forse non era mai stato chiuso.
Sembra infatti impossibile mettere la parola fine ad una questione, come quella della regolamentazione della migrazione, che costituisce da sempre un nervo scoperto della politica e del tessuto sociale elvetico e che di fatto ha trovato una regolamentazione che,se ha soddisfatto alcuni, ha scontentato molti.