La 'ndrangheta, dunque, non si ferma in Lombardia, ma supera anche i confini. Perchè, come dice Domenico Bellocco in una intercettazione: "Io i soldi mica li tengo a casa, io li riciclo, li reinvesto"
MILANO - Dalla Calabria alla Lombardia fino alla Svizzera. Se già altre recenti inchieste, e soprattutto il maxi-blitz 'Crimine-Infinito' del luglio 2010, avevano accertato che la 'ndrangheta ormai è una struttura unitaria, con basi da sud a nord, l'operazione contro la cosca dei Bellocco, che oggi ha portato a 23 arresti, fotografa un campo d'azione ancora più largo. Un profilo "internazionale" della mafia calabrese che si somma al sempre più pervasivo "inquinamento" dell'economia e al controllo della politica anche in Lombardia, come ha dimostrato, lo scorso ottobre, l'arresto dell'ex assessore regionale Domenico Zambetti, che ha travolto il Pirellone.
Su una delle più potenti famiglie della N'drangheta della Piana di Gioia Tauro, sui suoi 'manovalì, su imprenditori collusi che gestivano una grande azienda di call center e su altri 'colletti bianchì, si sono abbattute oggi tre diverse ordinanze di custodia cautelare: due emesse dai magistrati di Reggio Calabria e una dal gip di Milano, Giuseppe Gennari. Per accuse che vanno dall'associazione mafiosa, alla detenzione di armi e rapina, fino all'intestazione fittizia di beni all'estorsione aggravata e al favoreggiamento della latitanza.
Si tratta di un'inchiesta a 'quattro testè coordinata dalle Dda di Milano e Reggio Calabria, dalla Procura di Palmi e dal Ministero Pubblico della Confederazione (MPC) e che ha visto in azione polizia e carabinieri e anche il Gico e la Gdf di Milano, che hanno sequestrato beni per 10 milioni di euro (12 milioni di franchi svizzeri).
Nel corso di una conferenza stampa congiunta in Procura a Milano, il procuratore aggiunto della Dda reggina, Michele Prestipino, ha voluto sottolineare come nell'ordinanza sia stato riconosciuto il carattere "transnazionale" dell'associazione mafiosa.
La 'ndrangheta, dunque, non si ferma in Lombardia ("qualcuno fino a poco tempo fa sosteneva che qua non esiste", è stata l'amara riflessione del procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati), ma supera anche i confini. Perchè, come dice Domenico Bellocco in una intercettazione: "Io i soldi mica li tengo a casa, io li riciclo, li reinvesto".
Tra gli arrestati c'è Michele Bellocco, presunto capo del clan, e l'ordinanza del filone milanese, coordinato dal pm Paolo Storari, ha raggiunto anche Umberto Bellocco, che era già in carcere: 29 anni "è il giovane rampollo della famiglia". Una famiglia che, come si legge nelle intercettazioni, si compiace della sua fama: "Basta che faccia clic sul computer - dice Carmelo - digita Bellocco-Rosarno e vedi cosa esce in quel computer, parlano tre ore di noi!".
Ed è proprio il giovane Umberto a gestire la scalata della grande azienda milanese di call canter, la Blue Call, grazie all'intermediario elvetico Carlo Antonio Longo, "il regista delle strategie della famiglia Bellocco" e al commercialista Emilio Fratto. E soprattutto grazie ai due titolari dell'azienda, Tommaso Veltri e Andrea Ruffino, che prima pensano "di potere convivere con la 'ndrangheta e poi, quando non più utile, di liberarsi di quei 'merdonì", termine con cui venivano definiti i presunti boss nelle telefonate.
Il grande errore, però, scrive il gip, "è considerare solo degli ignoranti incapaci facili da truffare, gente che invece ha una visione complessiva e una 'metodologià che il Ruffino di turno neanche si sogna". Gente che quando parla di quote societarie cita anche Enrico Cuccia, che fu presidente di Mediobanca: "Le azioni - dice l'intermediario elvetico a Ruffino - non è che si contano, si pesano, le mie sono di peso".
Ci sono volute, si legge ancora nell'ordinanza, "le botte di Longo e un coltello puntato al petto per risvegliare Ruffino. Per fargli capire - chiarisce il giudice - che la sua forza di contrattazione con quella gente era semplicemente pari al nulla, inesistente". C'è una grande azienda, dunque, che viene svuotata (a casa 600 lavoratori tra il 2010 e il 2012) e diventa il 'bancomat' di un clan.
Tuttavia, negli atti dell'inchiesta ci sono anche 'stralcì di mafia meno moderna: progetti di "faide sanguinose, con il coinvolgimento di donne e minori". E quando alla figlia di un presunto boss viene assegnato un compito a casa - un tema dal titolo 'cos'è la mafia?' - la madre scrive sul foglio al posto della piccola: "La mafia è lo Stato".