Il pericolo più serio è la limitazione del libero scambio. Ma chi rischia di farne più le spese è l'industria farmaceutica
LUGANO - La seconda sorpresa, dopo la proclamazione di Trump a presidente, ieri mattina l'ha data il franco. Che si annunciava si sarebbe rafforzato ulteriormente, come da avvisaglie date nei giorni scorsi: quando, per un attimo, il candidato repubblicano aveva superato nei pronostici quello repubblicano. Invece la moneta elvetica si è riportata oltre la soglia dell'1,08 sull'euro: già alle 9.30, in incremento dello 0,30% rispetto a martedì e dopo aver toccato, nella notte, il minimo di 1,0752.
Dunque, la Svizzera l'ha passata liscia? Non esattamente, sostengono gli economisti: l'elezione di un uomo che più volte si è espresso contro il libero scambio rappresenta la minaccia per un Paese che, lo scorso anno, ha esportato negli Usa beni per un valore di 29,5 miliardi di franchi. «Il commercio uccide l'America», è lo slogan che ha accompagnato l'annuncio di imposizioni fin del 35% sulle merci straniere: un numero che spaventa la Svizzera, per cui gli Usa sono il secondo mercato dopo la Germania, con il 9% delle merci e il 16% di servizi che finiscono oltre oceano.
Ma «come uomo d'affari Trump ha beneficiato per decenni del libero scambio», tranquillizza il politologo Louis Perron: secondo cui molto di ciò che ha detto in passato si rivelerà boutade. «È troppo pragmatico per cambiare il mondo», concorda Martin Naville, direttore della Camera americana di commercio svizzera. Senza contare che «non otterrà carta bianca dal Congresso», osserva Florian Eckert dal Politecnico federale di Zurigo.
A passarsela male, alla fine, potrebbe essere solo l'industria farmaceutica: che ieri ha salutato la sua vittoria con tanti segni più, a fronte della prospettiva di una presidenza della Clinton che ambiva ad abbassare i prezzi dei medicamenti. Ma che cosa accadrà se Trump dovesse davvero intervenire sulla riforma sanitaria di Barack Obama e ridurre l'accesso ai medicinali?