Pensieri, paure e segreti di David Larible, il clown dei clown domani a Lugano che confessa la sua grande passione: gli Swatch.
LUGANO - Suo padre fu chiaro: "Se così dev’essere, che tu sia il migliore". Arduo dubitare che ci sia riuscito, con la fama di artista più applaudito al mondo che s’è fatto, fan del calibro di Jerry Lewis e Steven Spielberg solo per citarne due, riconoscimenti celebri e carriera internazionale giunta fino a Broadway. Clown d’oro nel 1999 al festival di Montecarlo dove ha sbaragliato sfidanti di ogni disciplina, primo artista del suo genere a riuscire nell’impresa, dopo quarant’anni David Larible non ha smesso di far ridere. Torna su un palco ticinese domenica alle 17.30 per Luganoinscena, prima di concedersi al circo Knie per otto mesi di esibizioni, dal 27 marzo al 23 novembre. Reduce da una tounée nella sua Italia, dove è nato nel ’57, rifugge le etichette e dice solo che per esser come lui non bisogna essere un buffone: ma studiare tanto e tutto, imparar la danza, la musica, cinque lingue, le attività circensi, essere colto e curioso, sfidare ogni giorno i propri limiti per strappare la risata più sincera.
David, confessi: quando entra in scena si diverte più il pubblico o più lei?
“È una bella lotta. Io mi diverto, senza dubbio. Ma non è importante chi si diverte di più. Quello che conta è stare bene. È questo il segreto. La gente passa un’ora e mezza con me, a volte di più, e alla fine dice che è stato troppo breve. Un grande complimento. Quanto tu stai bene, il tempo vola”.
Non si è ancora stancato di far ridere gli altri?
“Assolutamente. Fino a che loro sono lì e hanno voglia di vedere qualcosa, io ci sarò”.
Come ci riesce?
“Non si impara. È la propria natura. Non è la persona che sceglie il clown, è il clown che sceglie la persona nella quale entrare. Si comincia per il desiderio di far divertire. Poi ci si accorge che essere simpatico non è sufficiente. Bisogna prepararsi, e molto”.
Si dice che abbia deciso quando aveva tre anni.
“Ho deciso quando l’ostetrica ha detto “È maschio”. Macché, l’ho capito piano piano. Papà lavorava nei più grandi circhi del mondo, ho avuto l’opportunità di entrare in contatto con i mostri sacri”.
C’è qualcuno a cui sente di dovere qualcosa?
“Sarebbe riduttivo parlare di una persona. Tanti mi hanno influenzato e ispirato. Se devo scegliere, dico Chaplin. Conosco a memoria tutti i suoi film. Ma con lui parliamo di un maestro, è come quando uno vuole fare l’architetto e deve studiare il Bernini o Le Corbusier”.
E nel quotidiano chi la influenza, come nascono i suoi numeri?
“I numeri nascono dalle idee, dalla vita, dalle persone che incontri. Quello è l’embrione, poi da lì si può arrivare a fare tutt’un’altra cosa. A volte l’idea è solo una scusa per mettersi a creare”.
Ha mai paura di non riuscire più a far ridere?
“Tutte le sere”.
Suo padre le disse che il clown è il punto di arrivo di una carriera, non l’inizio. Lei quando ha cominciato a sentirsi clown?
“Il clown è come il poeta. Sono le persone che ti guardano o ti leggono a decidere che cosa sei”.
Ancora si mette in discussione?
“Sempre, ogni minuto. Ed è giusto sia così. Quando ti senti il migliore, finisci di essere artista. Artista è colui che cerca sempre qualcosa di più, non è mai appagato”.
Settima generazione di artisti del circo: viene da pensare che sia un mondo da cui non ci si riesce proprio a liberare.
“Come si dice? Che la segatura riesci a toglierla dalle scarpe ma non dal tuo sangue. Torno spesso al circo”.
Ci sarà anche l’ottava?
“C’è già. Mia figlia si esibisce come acrobata dell’aria, mio figlio è giocoliere”.
Contento?
“Io li ho lasciati liberi. Ho detto loro: «L’importante è che siate felici». Alla fine si riduce tutto a questo. Se ami ciò che fai, lo fai bene”.
Domenica però sarà su un palco. Il clown non è un’artista da strada?
“Siamo alla 152° replica. Vuol dire che funziona. Ci sono stati precedenti di successo: Grock, Dmitri”.
Il pubblico come la prende?
“Il pubblico è sempre diverso e ha un approccio sempre diverso. Non sta a lui: sta a me capire ciò di cui ha bisogno. Bisogna avere l’umiltà si sapere che sei tu al servizio del pubblico, non viceversa. Non sono un quadro che si può guardare come ignorare: la gente paga per vedermi. Ho l’obbligo morale di far ridere”.
Lei invece? Chi riesce a farla ridere?
“Rido abbastanza facilmente, ho un buon senso dell’umorismo. Mi fanno ridere anche i colleghi. Gli attori americani, Aldo Giovanni e Giacomo in Italia, Grillo, Benigni, Crozza”.
Nostalgia dell’Italia?
“Io sono italiano. Come diceva Gaber, «Io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono». Mi sento italiano e mi piange il cuore. Siamo in una condizione pietosa. Quando togli il diritto al lavoro a una persona, le togli tutto. Ti senti un uomo finito, che non serve”.
"Piange"?
“Per questo vado sul palco. Per togliere l’amarezza. Quando succederà che non riuscirò più a divertire, sarà ora di scendere. O quando non mi divertirò più io”.
Sul palco c’è posto per la politica?
“Non mi piacciono i clown politici, i buffoni di corte. Io non sono d’accordo con chi si dà una cornice. Si può fare una gag sulla politica, però basta. In Italia in particolare tutto è politica, il 90% delle batture sono sulla politica. Mi stanca. Cercare un’altra forma di far ridere non sarebbe male”.
È un consiglio?
“Certo è più difficile. Ma il clown deve rimanere libero. È il più anarchico degli artisti. Nessuno può digli cosa deve fare, anzi: nel momento in cui accade lui fa proprio il contrario. Se fa politica non è più libero”.
È quello che è successo a Grillo?
“Grillo ha perso la libertà, perché si è sentito in dovere di intervenire in un Paese dove la classe politica è la peggiore dell’Europa. Io lo ammiro per questo”.
Di che cosa si può ridere?
“Ci sono occasioni in cui appena ridi ti penti, perché la risata scaturisce dalla volgarità, dalla presa in giro di qualcuno. Alla fine non ti senti bene. Io cerco la risata che non vada a scapito di nessuno. La risata che voglio io è qualcosa di bello. Difatti io non la sento: la vedo”.
Come?
“Guardo il teatro, non lo ascolto. Se si muove vuol dire che ho raggiunto l’obiettivo. Significa che il pubblico sta ridendo di pancia. È una risata bella, contagiosa, senza retrogusto”.
E il riso malinconico?
“Il riso non può essere amaro. A volte al mio pubblico scendono le lacrime, ma sono lacrime di commozione. Io cerco la risata di qualità, che fa stare bene e fa ridere tutti: il bambino come l’adulto, l’intellettuale e l’operaio”.
Siamo ancora capaci di ridere così?
“Ripeto, sono alla 152° replica. Ridere è una forza. Chi ride è più forte degli altri. Ci pensi, la risata è l’unico istinto che ci differenzia dagli animali”.
La vita fa ridere o si ride per vivere?
“Tutt’e due. Abbiamo bisogno di ridere. Una volta qualcuno ha detto «La vita non bisogna prenderla sul serio, tanto non ne uscirai vivo». È il segreto del vivere bene”.
Si è mai sentito, o l’hanno fatta sentire, un artista di serie B?
“Magari qualcuno ci ha provato. Ma non lo permetto. Non è per superbia o arroganza. È che nessuno ha il diritto di guardare un’altra persona dall’alto verso il basso. Bisogna avere rispetto per tutti. Ognuno di noi può fare la differenza se fa bene quello che fa, qualsiasi cosa sia”.
Che mi dice di Lugano?
“Ci sono stato qualche volta l’anno scorso. Bellissima, con il suo lago, la montagna. Ha fascino. Mi piacciono le città che non sono anonime, che hanno una bellezza inconfondibile. Quelle dove quando ci sei non ti viene mai il dubbio di essere da un’altra parte. Poi, è Svizzera pur essendo italiana. Una fusione di culture, mentalità”.
Si mormora che abbia una passione.
“La Juventus. Se non avessi fatto il clown avrei fatto il calciatore. Per fortuna ho fatto il clown”.
Tutto qui?
“Ho una collezione abbastanza importante di Swatch. Li tengo nella mia casa in America, sono circa cinquecento. Non li indosso mai. Ma ho anche altre collezioni di orologi, che invece metto. Sono un fanatico. Infatti sono felice di venire in Svizzera. Credo che in questi nove mesi la mia carta di credito subirà dei seri traumi”.