Il principale imputato del processo continua a eludere le domande della giudice e a contestare la fondatezza delle imputazioni
BELLINZONA - Il principale imputato nel processo che si celebra da ieri davanti al Tribunale penale federale (TPF) di Bellinzona contro quattro iracheni accusati di essere membri o sostenitori dell'Isis continua a eludere le domande della giudice e a contestare la fondatezza delle imputazioni. Queste sono basate essenzialmente su estratti di comunicazioni via internet.
Durante i dibattimenti, che avvengono in tedesco e sono tradotti in arabo, l'uomo, un 29enne in sedia a rotelle sospettato di aver pianificato un attentato terroristico, come già ieri ha eluso le accuse fondate su protocolli di chat. Lo scambio di messaggi sarebbe avvenuto con Abu Hajer, un presunto sostenitore del sedicente Stato islamico (Isis) e si sarebbe protratto anche dopo l'arrivo dell'imputato nella Confederazione.
L'iracheno, che aveva inoltrato in Svizzera una richiesta d'asilo nel 2012 ed era poi stato sottoposto a varie operazioni e a una rieducazione al Centro svizzero per paraplegici di Nottwil (LU), ha affermato che la sua intenzione era di allertare l'opinione pubblica sulle condizioni di detenzione in presunte "carceri segrete" irachene. Ha anche affermato che suo fratello è scomparso in queste prigioni.
Stando alla corte però i protocolli non fanno riferimento alcuno a prigionieri, ma forniscono informazioni sulla "fabbricazione di materiali" e l'"ammodernamento di apparecchi". L'interrogatorio della giudice non ha permesso di stabilire se queste indicazioni fossero da collegare alla fabbricazione di bombe.
L'uomo non è stato in grado di dissipare i dubbi relativi alla sua identità. Non è infatti escluso che si sia attribuito quella del fratello scomparso e compaia davanti al TPF col suo nome.
Interrogato a proposito delle ragioni che lo hanno indotto a utilizzare un linguaggio codificato quando comunicava su Facebook o Skype, l'accusato ha dichiarato che non era libero nelle sue azioni perché si sentiva sotto sorveglianza "degli americani".
Per quanto concerne gli estratti dell'atto d'accusa in cui qualifica gli svizzeri come "cani", il 29enne parla di malinteso. Ha spiegato di aver visto alla televisione soldati che avevano ucciso talebani e di aver creduto che fossero militari elvetici dato che il reportage era stato diffuso dalla televisione svizzero tedesca.
La Procura federale accusa il 29enne di aver aderito già nel 2004 in patria a una organizzazione terroristica islamica da cui era poi nata l'ISI (Stato islamico dell'Iraq). Nel 2011 avrebbe poi allacciato contatti in Siria con la locale propaggine di quello che è oggi l'Isis nella quale militavano suoi ex "compagni di viaggio" iracheni, tra cui un altro degli imputati di Bellinzona.
Dopo il suo arrivo in Svizzera nel 2012 l'uomo avrebbe mantenuto contatti con l'organizzazione e pianificato attentati insieme a un coimputato e a una terza persona che doveva arrivare dall'estero. I tre iracheni arrestati nel 2014 sono accusati anche di aver fornito aiuto per giungere in Europa ad altri membri dell'Isis, di aver svolto compiti di coordinamento, fatto propaganda per l'organizzazione terroristica, dato istruzioni e fornito anche consigli operativi. Il 17 luglio 2015 il procedimento penale è stato esteso a un quarto imputato, che si sarebbe recato in Siria per portare ricetrasmittenti allo Stato islamico.
In una sentenza del TPF pubblicata il 18 maggio 2015 e relativa al prolungamento della detenzione preventiva per il principale imputato, erano riportate affermazioni scioccanti fatte dall'uomo, che abitava nel canton Sciaffusa. Riferendosi agli svizzeri cristiani, l'iracheno si sarebbe espresso con le parole: "Sì, per Dio, sono da decapitare non da convertire".