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I 50 anni dalla tragedia di Robiei: «Ero appena uscito, ho avuto fortuna»

La notte tra il 15 e il 16 febbraio 1966, diciassette persone persero la vita in una galleria tra Robiei e la Val Bedretto.
I 50 anni dalla tragedia di Robiei: «Ero appena uscito, ho avuto fortuna»
La notte tra il 15 e il 16 febbraio 1966, diciassette persone persero la vita in una galleria tra Robiei e la Val Bedretto.
ROBIEI - Se passate dalla Novena per andare in Vallese, la prossima volta guardate in alto a sinistra. In quella montagna, nel cuore più profondo della roccia, scorre un lungo cunicolo che dal Lago Gries, in Vallese, porta l'acqua fino al baci...

ROBIEI - Se passate dalla Novena per andare in Vallese, la prossima volta guardate in alto a sinistra. In quella montagna, nel cuore più profondo della roccia, scorre un lungo cunicolo che dal Lago Gries, in Vallese, porta l'acqua fino al bacino di Robiei. Il 15 febbraio di cinquant'anni fa, che nel 1966 era un martedì, proprio lì morirono 17 persone. Quindici operai italiani e due pompieri ticinesi. È la tragedia di Robiei, una delle peggiori disgrazie che abbia colpito il Ticino. Lassù, i lavori erano a buon punto e si proseguiva spediti verso la fine di un'opera durata tre anni. Poi, quel giorno, successe tutto. Una porta stagna, grazie alla quale i minatori non dovevano lavorare coi piedi in acqua, fu aperta. Ma, nei mesi precedenti dietro di essa si era formata una sacca di gas che, liberata, correndo nel tubo avrebbe lasciato a terra, dentro la Terra, diciassette corpi. I primi, nel tardo pomeriggio, furono gli addetti all'apertura della porta, due pompieri e un minatore. Poi nella notte, ad altri quattordici uomini saranno tolti l'ossigeno e la vita. 

«Ho avuto fortuna» -  Dieci anni fa, per ricordare il quarantesimo della tragedia, il settimanale Area incontrò alcuni dei sopravvissuti. Da allora, l'età, ne ha spenti molti. Uno, però, lo abbiamo trovato. Si chiama Virginio Da Dalto e a vent'anni su quella montagna dell'Alto Ticino, si occupava di preparare il bitume. Ed è stato proprio il suo compito a salvarlo. «Ero uscito dalla galleria verso le 23, perché mancava materiale», ci racconta dalla sua casa di Vezzola, in provincia di Treviso, dove trascorre gli anni della pensione. È un uomo che ha grattato nel cuore della Terra, così non se ne sta con le mani in mano, quando ci risponde al cellulare è fuori nei campi a lavorare. Il suo racconto ci riporta lì, nel buco, dove il bitume era finito e Virginio era uscito a impastarne dell'altro. «È stata quella la mia fortuna, altrimenti sarei rimasto lì anch'io».

«Erano morti tutti» - Intanto fuori dal cantiere si cercavano i pompieri e il minatore che, entrati nel pomeriggio, non s'erano più visti. «Al portale ho trovato mio cugino Angelo e il Bonetti, mi hanno chiesto se avessi visto qualcuno». No, nessuno. Il cugino, più esperto, gli dice di andare a mangiare, lui e il Bonetti si infilano nella montagna. Dopo la cena si torna dentro, poco importa che sia l'una di notte. «Stavamo per rientrare e mi viene incontro mio cugino, tutto sporco, aveva incontrato il gas». Il Bonetti, invece, non sarebbe più tornato. «Era caduto sul lato destro della galleria, Angelo a sinistra dove c'era la rigola d'acqua e il gas rimaneva un po' più in alto». Il cugino, con anni d'esperienza nelle gallerie, se ne intendeva. «Sapeva cosa fare, è venuto fuori avanzando in ginocchio per non so quanti metri. Ha detto di dare l'allarme... perché erano morti tutti».

«Stavano uscendo» - Quella notte fu veramente sciagurata. Basti pensare che le ultime otto vittime stavano per andare a cena, anzi erano a poche centinaia di metri dal portale. «Sono usciti con il trattore, hanno messo le macchine a zero (in folle, ndr) e le stavano scaricando. In quel momento hanno incontrato il gas», continua Virginio. «E lì il gas li ha ammazzati tutti. Prima quelli della galleria di valle, e poi quelli della galleria di monte, dove lavoravo io. Se non fossi uscito sarei rimasto lì anch'io».

«Non ce la faccio a tornare» - La Svizzera l'hanno costruita gli italiani, è una frase che si sente spesso, quasi fosse un modo di dire. Ma in quegli anni era quanto mai vera. Solo pochi mesi prima, nella sciagura del Mattmark, morirono 88 operai che stavano costruendo una diga: ottantotto vittime, di cui cinquantasei italiane. A Robiei, ne erano quindici su diciassette. «Sì, eravamo tutti italiani e tutti amici. Andavamo molto d'accordo. Si lavorava tanto, poi si mangiava, si giocava a carte e si rideva e scherzava». Nelle settimane successive, poi, i superstiti sono dovuti rientrare in quella montagna, a finire il lavoro, là dove erano morti i loro amici. Ma Virginio è mai tornato in Ticino? «No. Sono tornato quando ci hanno chiamati per il processo. Poi mai più. Non sono capace di affrontare quella strada, mi dispiace ma è più forte di me».

 

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