La terribile storia di due profughi afghani evidenzia un problema in espansione nella Svizzera italiana: sono ben 700 i rifugiati che sognano un impiego, ed è una cifra record.
LOCARNO - Saheb Ghalandari, 24 anni, ex pastore di pecore e artigiano. Sadiq Arabzade, classe 1975, ex impiegato in un ristorante e operaio. Entrambi fuggiti dalla guerra in Afghanistan. Entrambi alla ricerca di una seconda possibilità, anche dal punto di vista professionale. Esplode nella Svizzera italiana il numero di rifugiati che cercano un lavoro. Gli incarti nelle quattro sedi del Programma di integrazione cantonale di SOS Ticino sono ben 700. «È il numero più alto mai registrato finora – evidenzia Michela Melera, coordinatrice del servizio In-Lav –. E non è facile piazzare queste persone».
Situazioni disperate - Un accompagnamento formativo e lavorativo per stranieri con ammissione provvisoria F o con statuto riconosciuto, F o B. SOS Ticino si occupa di eritrei, siriani, somali, iraniani… E, appunto, afghani. «Sono giovane – dice Saheb –, sono in Svizzera da quasi tre anni. Ho tanta voglia di mettermi in gioco. Anche perché in Afghanistan ho mia madre gravemente malata. Mi piacerebbe riuscire a inviarle qualche soldo. Senza lavoro è impossibile. Mi sono sforzato di imparare bene l’italiano, sono andato a scuola, ora sono pronto».
Il problema della lingua - «Non tutti i datori di lavoro – riprende Melera – vogliono formare apprendisti che hanno un’età fuori dal normale». Su 700 “rifugiati” annunciati al servizio, sono 423 le persone che potrebbero lavorare. «Le altre vivono situazioni particolari. In alcuni casi hanno problemi di salute o si tratta di donne con bambini piccoli. Di queste 423, molte sono ancora nella fase dell’apprendimento dell’italiano. Realisticamente le persone pronte per lavorare sono circa 180».
Vergogna - Tra i rifugiati pronti per lanciarsi nel mercato del lavoro ci sono Saheb e Sadiq, che partecipano saltuariamente a corsi di lingua e a stage nelle aziende. I settori più gettonati da In-Lav sono quelli dell’agricoltura, dell’edilizia, della ristorazione, della pulizia. «Siamo persone abituate a lavorare – sussurra Sadiq –. Io sono sposato e ho quattro figli. È brutto farsi mantenere dallo Stato. Mi vergogno a stare a casa. Vorrei potermi comportare da uomo, mantenere la mia famiglia senza aiuti».
Bombe - Sadiq racconta di essere scappato da Kabul a causa di grossi problemi con i talebani. «Laggiù avevamo i nostri campi. Stavamo abbastanza bene. Ma la situazione era diventata terribile. Ancora oggi faccio fatica a dormire di notte. Penso alle bombe che esplodevano e alle persone che si trovavano fatte a pezzi per strada».
Cattivi pensieri - Saheb annuisce guardando nel vuoto. E aggiunge: «Siamo arrivati in Svizzera facendo un lungo viaggio. A piedi o nascosti nei camion. Qui si sta bene. Ma mi sento comunque come in una prigione. Ho sempre lavorato, sono abituato a muovermi. Stare a casa a fare niente mi fa stare male, il mio cervello si riempie di cattivi pensieri. Ora ho un permesso F. Se non riesco a trovare un lavoro, non riuscirò mai ad avere il permesso B. E oltre a non potere inviare soldi a mia mamma, non potrò mai tornare a trovarla. Perché chi ha il permesso F non si può muovere dalla Svizzera».
Sogni - Il giovane afghano rivela di avere un sogno: fare il pittore. «Anche se poi – ammette – in questo momento va bene qualsiasi tipo di mestiere. Certo, fare un apprendistato sarebbe bello». «Per gli apprendistati – sottolinea Melera – puntiamo un po’ su tutti i settori. Permettiamo ai nostri utenti di farsi conoscere, di fare esperienze. Però dobbiamo confrontarci con la grande concorrenza di servizi che come il nostro si occupano di collocamento».
La percentuale di riuscita - Ma qual è la percentuale di riuscita di In-Lav? Melera è chiara. «Noi possiamo fare una parte di percorso insieme ai nostri utenti, ma la motivazione, l’impegno e le capacità lavorative della persona che cerca collocamento sono indispensabili. Per i giovani in genere pensiamo ad un apprendistato. Lo scorso anno gli inserimenti che abbiamo effettuato sono stati poco meno un centinaio. In quasi la metà dei casi sono stati stipulati contratti di tirocinio».