Ha attraversato da solo il Sudan, la Libia e il Mediterraneo. Ma a Chiasso ha trovato l’ostacolo insormontabile. Sta cercando di raggiungere i fratelli
CHIASSO - Andesanjir Kidane, 16 anni, viene dall’Eritrea e nelle ultime tre settimane sta vagando per le stazioni italiane in pessime condizioni di salute. Ce lo racconta Merhawi, suo fratello 26enne residente nel Canton Argovia. «Non parla italiano, inglese o tedesco, non riesce a comunicare. Per giorni non ho avuto contatti con lui, poi ad Alessandria ha mostrato il mio numero di telefono a qualcuno che mi ha chiamato», racconta Merhawi. Approfittando delle vacanze è corso in soccorso del fratello: «Stava male, gli sanguinava la bocca, ma non sono riuscito portarlo da un medico, alla fine abbiamo acquistato dei medicamenti in farmacia».
Sudan, Libia, Mediterraneo - Come un’intera generazione di eritrei, Andesanjir è fuggito a un servizio militare in un esercito che Amnesty paragona alla schiavitù e ai lavori forzati. «Ha passato più di venti giorni nel deserto, non riuscivo più a mettermi in contatto con lui», ci racconta Merhawi. «Ho chiamato tutti quelli che conoscevo in Sudan e in Libia per capire dove fosse finito, ma niente. E quando sentivo mia madre preoccupatissima le raccontavo che probabilmente aveva solo problemi con il telefono». Ma no, non era scarico, in quelle settimane il ragazzo ha attraversato il Sahara, in fuga da eserciti e milizie che hanno catturato molti suoi compagni, per farne cosa chi lo sa. Poi si è imbarcato.
La telefonata - Quando finalmente è arrivato vivo in Europa e a fatica si è messo in contatto con il fratello, i ragazzi hanno potuto rassicurare la madre che, dopo quasi un mese senza notizie del figlio, era disperata. «I nostri genitori erano spaventatissimi, lo siamo stati tutti». La prova di Andensanjir, però, è tutt’altro che finita. Quando per la prima volta si trova al confine di Chiasso scopre l’amara realtà. «Ci hanno detto che non poteva attraversare la frontiera», racconta Merhawi. «Ho spiegato loro che non ha nessuno in Italia, che è un ragazzino e sta male, ma lo hanno rimandato a Como».
Tentativi su tentativi - Dal 22 luglio, i tentativi di entrare in Svizzera e chiedere asilo sono stati numerosi. «Dopo aver provato a Como, abbiamo provato a passare per Domodossola e per il Vallese. Anche lì ci hanno fermati. Hanno preso anche i miei documenti e mi hanno interrogato. Alla fine mi hanno detto che non sarebbe entrato, se volevo potevo tornare in Italia con lui».
Di casa nelle stazioni - Ecco quindi che i due sono tornati a Como, ancora in stazione, ancora tentativi di fare richiesta d’asilo. Andesanjir non ha documenti, ma il fratello ha portato tutti i suoi e spergiura sull’identità del fratello: «Che ci facciano il test del dna, è mio fratello davvero e in Italia non ha nessuno». Non ha nessuno e fatica a vivere: «Non ha vestiti di ricambio, scarpe, non sempre c’è il cibo. E con tutta quella gente in un parco lo stress è tantissimo».
«Siamo una famiglia» - Merhawi è stato vicino al fratello fino all’8 agosto. Poi per lui è ricominciata la scuola e ha preso la sofferta decisione di tornare nel Canton Argovia: «Lì non potevo fare niente, qui forse riuscirò a parlare con chi si occupa dell’immigrazione, spiegargli che siamo una famiglia e vogliamo solo vivere assieme. Mio fratello ha solo 16 anni e deve essere curato».