Panico in ascensore, paura dei ragni, ansie… Il progetto curato da Marko Valdarnini catapulta i pazienti direttamente a contatto con le proprie insicurezze. Ecco come funziona
LUGANO – Sono i mali oscuri del terzo millennio. L’ansia. Il panico. Il disturbo ossessivo compulsivo. Fobie che in futuro potrebbero essere curate con la realtà virtuale. Almeno stando al progetto EvolveVR, portato avanti dal ricercatore ticinese Marko Valdarnini e dal suo team. L’idea sarà presentata giovedì 26 gennaio dalle 18.30 alla SUPSI di Manno. «Psicoterapia e realtà virtuale possono procedere a braccetto – sostiene Valdarnini – in futuro alcuni disturbi potranno sempre più essere curati con l’aiuto di queste nuovo tecnologie».
Affrontare la realtà – Stando all’Osservatorio svizzero della salute, nella Confederazione circa il 17% delle persone soffre di malattie psichiche. In tutto il Paese sono circa in 800'000 ad avere attacchi di panico. A questo va aggiunto che tra il 2% e il 3% della popolazione soffre di disturbo ossessivo compulsivo. Numeri che fanno riflettere. «La realtà virtuale – dice Valdarnini – ci permette di ricreare, tramite algoritmi e protocolli, le situazioni potenzialmente ansiogene, in cui il paziente prova disagio. Il paziente non deve scappare. Deve affrontare gradualmente il disagio. Noi gli permettiamo di farlo in un contesto controllato».
Rivivere il disagio – Il paziente, nello studio dello psicoterapeuta, indosserà dunque la classica apparecchiatura (occhiali in particolare) che gli permetterà di visualizzare in video il contesto a rischio. «Siamo in grado di ricreare il “mondo” a 360 gradi. Lo specialista può così fare rivivere al paziente le situazioni che gli causano problemi».
Gradi di difficoltà – Prendiamo, ad esempio, il panico da ascensore. «Magari all’inizio facciamo entrare il paziente in un ascensore più grande e vuoto. Poi sempre più piccolo e stretto. La stessa cosa vale per chi ha paura di viaggiare con l'auto in autostrada. O per chi ha paura di volare. Di seduta in seduta si aumenta il grado di difficoltà. Il terapeuta ha la possibilità di monitorare il percorso del paziente».
Monitoraggio – Insomma, un’azione di desensibilizzazione. Graduale e comunque sempre supportata dalle sedute classiche di psicoterapia. «Razionalmente il paziente capisce di indossare un’apparecchiatura. E di trovarsi nello studio di uno specialista. Si ritroverà ben presto a dovere affrontare le emozioni che gli provocano instabilità. È chiaro che il dialogo con il terapeuta resta basilare».
Casistiche più ricorrenti – Un progetto unico nel suo genere in Svizzera. A cui si guarda con particolare interesse. «Inizialmente – conclude Valdarnini – ci stiamo confrontando con le patologie più frequenti e diffuse. Poi, con il tempo, potremo personalizzare ulteriormente la nostra offerta, in base alle richieste degli psicoterapeuti e dei pazienti. Allo studio di psicoterapia viene ceduto in leasing l’apparecchiatura, il cui costo potrebbe essere rimborsato dalla cassa malati».