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Stupro o sexsomnia? Il dubbio va in scena nei processi

È una forma di sonnambulismo usata come difesa in casi di stupro. Obiettivo: evitare le condanne.
È una forma di sonnambulismo usata come difesa in casi di stupro. Obiettivo: evitare le condanne.

Non si tratta di stupro, ma di sesso in uno stato di sonnambulismo. È quanto ha sostenuto il Crow Prosecution Service, la pubblica accusa inglese, nei confronti di Jade McCrossen-Nethercott che, dopo aver denunciato un episodio di stupro, si era vista diagnosticare la "sexsomnia", un raro disturbo del sonno che induce la persona che ne soffre a compiere atti sessuali da addormentata. Di fatto, il pubblico ministero aveva rigettato l'accusa di stupro sostenendo che la ragazza avesse fatto sesso in una sorta di stato alterato che non le permetteva di ricordare quanto accaduto.

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Nessun ricordo del rapporto sessuale - Secondo quanto riferito dalla Bbc, nel 2017, la giovane si era svegliata nel divano della casa di un amico, a Londra, con la consapevolezza di aver avuto un rapporto sessuale di cui, però, non conservava alcun ricordo. Come raccontato dalla McCrossen, intorno alle due di notte si era addormentata su di un divano a casa di amici, completamente vestita, per poi svegliarsi all'alba e ritrovarsi priva di pantaloni e reggiseno.

All'uomo seduto nel divano accanto a lei aveva chiesto cosa fosse successo, per sentirsi dire «pensavo fossi sveglia». Confusa e atterrita, la donna si era recata in una stazione di polizia dove, a seguito delle analisi cliniche obbligatorie in caso di violenza sessuale, era stato individuato un possibile sospettato: proprio l'uomo seduto sul divano.

Insuccesso nella causa per una sorte di stato alterato - L'accusa di stupro, però, come detto non è andata avanti perché, secondo la tesi della difesa dell'uomo, accolta dal pubblico ministero, «vi era la forte possibilità che Jade avesse avuto un attacco di sexsomnia». Il suo comportamento, quindi, sarebbe stato quello di una persona volontariamente e attivamente impegnata in un'attività sessuale consensuale, se non fosse che si trovava in uno stato di sonnambulismo.

Nel 2022, la McCrossen ha deciso di citare in giudizio il Crown Prosecution Service dopo che quest'ultimo aveva fatto pubblica ammenda, dichiarando che la denuncia di stupro non doveva essere archiviata sulla base di una diagnosi fatta da esperti che non avevano mai interrogato la presunta vittima o che, per loro stessa ammissione, non avevano mai sentito parlare di questa rara condizione del sonno.

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Cosa dice la scienza - Così come il sonnambulismo, la sexsomnia viene definito, dal manuale diagnostico Dsm-5, come un disturbo del sonno che si verifica tra la fase del sonno profondo e la veglia. Coloro che ne soffrono compiono atti sessuali nella fase del sonno definito non-R.E.M.: potrebbero avere gli occhi aperti senza conservare, però, alcuna consapevolezza o memoria del proprio comportamento.

Trattasi di un disturbo estremamente raro che, secondo uno studio condotto dall'Academy of Sleep Medicine, colpisce in prevalenza gli uomini e coloro che soffrono già di un disturbo del sonno. Secondo quanto dichiarato dal dott. Horvart della Health Cleveland Clinic «ci sono dei fattori scatenanti della sexsomnia, come stati d'ansia e di stress, l'abuso di sostanze alcoliche o psicotrope o l'essere privati del sonno».

Un alibi in costante diffusione - Della sexsomnia si era parlato, fino a ora, solo in occasione di studi scientifici o isolati casi giudiziari, ma gli esperti legali e gli avvocati del Regno Unito hanno lanciato l'allarme che tale disturbo del sonno sta diventando, con preoccupante frequenza, un motivo ostativo per non celebrare processi per stupro.

Secondo una indagine svolta dall'Observer, negli ultimi trentanni, vi sono stati ottanta casi di imputati, accusati di violenza sessuale o abusi sessuali su minori, che hanno affermato di soffrire di sonnambulismo o di sexsomnia all'epoca della commissione del fatto criminoso. Ciò che preoccupa è che vi sia stato un aumento esponenziali di tali casi dato che, a fronte del numero irrisorio rilevato negli anni Novanta e inizio del Duemila, solo nell'ultimo decennio si sono registrati cinquantuno casi, e otto solo nell'ultimo anno.

Secondo tale indagine, nel 60% dei casi in cui l'imputato ha citato la sexsomnia a propria discolpa, si è avuto un verdetto di non colpevolezza, mentre molte accuse sono state archiviate dal Cps senza essere portate davanti a una corte giudicante. Come dichiarato sul Guardian dal dott. Neil Stanley, specializzato nei disturbi del sonno, la sexsomnia viene usata «cinicamente nella aule del tribunale.

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Una strategia che non tutela chi ha realmente bisogno - Ci sono casi di pubblico dominio in cui è chiaro che la stanno usando come strategia, perché naturalmente se fosse sexsomnia saresti giudicato non colpevole. I giudici e le giurie non ne hanno idea, perciò vale la pena provarci». Secondo Stanley, l'uso di tale disturbo «è massicciamente salito alle stelle», essendo tali affermazioni molto difficili da confutare.

Tale stato di cose, secondo gli esperti, sta portando il sistema giudiziario a non tutelare le vittime di stupro, e a non prestare sufficiente attenzione a chi è realmente affetto da tale patologia. Secondo il dott. Neil Stanley, infatti, «la legge non è disposta ad ammettere che esista una forte probabilità di errori giudiziari. E data la gravità del reato dovremmo essere molto certi di avere un serio potere di controllo, mentre questo non sta accadendo».

Molti assolti senza realmente aver quel disturbo - Ciò che di fatto accade, invece, è che la difficoltà di poter stabilire in maniera inequivocabile se una persona accusata di stupro sia andata incontro a un simile episodio di disturbo del sonno, induce molti avvocati ad approfittare dell'incertezza del mondo scientifico per invocare verdetti di non colpevolezza.

Secondo il reportage del Guardian, molti di coloro che sono stati prosciolti dall'accusa di violenza sessuale per la sexsomnia, non avevano alcuna diagnosi formale o una storia di sonnambulismo alle spalle. In un terzo dei casi, l'imputato si trovava sotto l'effetto di alcol o droghe, eppure anche solo citare tale disturbo era servito per far dubitare la corte e impedire un verdetto di colpevolezza. In un caso di stupro, due consulenti esperti avevano dichiarato di non avere prove certe che si fosse in presenza di un caso di sexsomnia ma «di non poterlo escludere categoricamente», portando la giuria da assolvere l'uomo.

Ma non tutti la passano liscia - Fortunatamente non tutte le cause legali hanno un risultato così scontato. Sull'Irish Times dello scorso gennaio, è stata pubblicata la notizia che un uomo, prosciolto dall'accusa di stupro, nel febbraio del 2018, dopo aver dichiarato di soffrire di sexsomnia è stato di recente condannato a otto anni di carcere dalla Corte Penale di Dublino.

All'epoca dei fatti, la vittima, si era recata nell'appartamento dell'uomo, un collega di lavoro, dove si era addormentata, per poi svegliarsi e trovare l'amico impegnato in un atto sessuale sopra di lei. L'imputato aveva dichiarato di non ricordare nulla dell'accaduto, anche se le prove della violenza avvenuta erano inconfutabili. Come dichiarato dalla donna stuprata «ti senti veramente sminuito quando qualcuno ti violenta e poi, per scrollarsi di dosso la colpa, dice di averlo fatto nel sonno».

Nel 2011, ad esempio, Joseph Short, un militare inglese, aveva evitato di andare in carcere per stupro dopo aver dichiarato di soffrire di tale disturbo, per poi essere stato arrestato, cinque anni dopo, per aver compiuto altre aggressioni a sfondo sessuale. Ancora una volta, il soldato Short ha cercato di convincere la corte di giustizia inglese di non avere consapevolezza del proprio comportamento, ma lo stesso esperto del sonno che aveva contribuito alla sua assoluzione nel 2011, ha dichiarato di ritenerlo colpevole «perché aveva ignorato il consiglio che gli era stato dato per non avere comportamenti aggressivi con le donne in futuro».

Una della sue vittime ha dichiarato al Sunday Mirror che «questa è una vittoria per tutte le donne a cui ha rovinato la vita, vivendo da stupratore libero (…) alla fine è stato chiaro a tutti che non era un ragazzo con un disturbo del sonno. Era solo un mostro a cui piaceva violentare le donne. Ora è nel posto giusto».

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Necessaria una maggiore tutela - Bisogna impegnarsi seriamente perché la sexsomnia non venga invocata a vanvera e in maniera strumentale per non essere imputati del reato di stupro. Ci vuole veramente molto coraggio per denunciare una violenza sessuale, e nessuna vittima dovrebbe essere lasciata senza tutela sulla base di prove deboli, se non inesistenti. Come detto dalla madre di una denunciante, «durante il processo è come se avessero detto "Sì, potrebbe aver abusato sessualmente di te numerose volte, ma l'ha fatto nel sonno, quindi va bene. Non c'è nulla che gli impedisca di farlo di nuovo e dire solo stavo dormendo"».


Appendice 1

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