In Bosnia «manca il riconoscimento delle vittime degli altri», commenta l'esperto dell'Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
L'AIA / ROVERETO - Alfredo Sasso, esperto di Bosnia ed Erzegovina dell'Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, commenta per Tio/20 Minuti la condanna all'ergastolo di Ratko Mladic.
Signor Sasso, come valuta questa condanna?
La sentenza, che era prevedibile, ha sostanzialmente confermato l’apparato di quella di Karadzic. Entrambi sono stati condannati per tutti i capi di imputazione tranne il genocidio nei comuni al di fuori di Srebrenica. La differenza è nella pena: Mladic è stato condannato all’ergastolo mentre Karadzic era stato condannato a 40 anni. Per questo motivo le prime reazioni delle associazioni delle vittime e della società civile sembrano di maggiore soddisfazione.
Quali reazioni ci sono state, invece, nell’entità serba di Bosnia, la Republika Srpska?
È degna di nota la presa di posizione del suo presidente, Milorad Dodik, che già martedì ha descritto Mladic come «una leggenda per i serbi di Bosnia che ha difeso il proprio popolo». È una dichiarazione molto dura e preoccupante che rappresenta una rivendicazione dell’operato di Mladic.
Che cosa manca nel dialogo fra i rappresentanti delle diverse comunità che compongono la Bosnia?
Manca l’empatia o almeno un riconoscimento minimo delle vittime degli altri, che è il primo passo verso una riconciliazione. E non manca solo fra i serbo-bosniaci, ma anche all’interno delle altre comunità - i bosniaci musulmani e i croato-bosniaci - e fra i loro vertici politici.
A tal proposito accennava a un’altra importante sentenza attesa per settimana prossima.
Sì. L’ultima sentenza del tribunale dell’Aia sarà infatti fra una settimana ed è quella di appello per sei rappresentanti politici e militari dell’esercito croato-bosniaco della cosiddetta Erzeg-Bosnia, ovvero l’entità croato-bosniaca ai tempi della guerra del ‘92-’95. Sono imputati fra le altre cose per la distruzione del Ponte di Mostar, oltre che per diversi crimini ai danni dei non croati. Nemmeno da parte dei vertici dei croati di Bosnia c’è una presa di distanza da questi atti, ma piuttosto una loro elevazione a miti fondativi.
La condanna di Mladic potrebbe ravvivare le tensioni interetniche?
Non credo ci si debba aspettare cambiamenti sostanziali e immediati nei rapporti fra le diverse comunità. Dichiarazioni come quelle di Dodik, per esempio, non sono una novità, ma costituiscono piuttosto un elemento fondante di una certa narrativa. Attualmente i rapporti fra le comunità non sono positivi, ma non siamo nemmeno davanti a uno scontro imminente. Siamo piuttosto allo stallo.
Il Tribunale penale internazionale dell’Aia per l’ex-Jugoslavia ha raggiunto i propri obiettivi?
Si auspicava che il tribunale, con la mole di documentazione che ha raccolto, potesse far sì che le diverse verità di quel periodo storico fossero mutuamente riconosciute, ma su questo aspetto ha sicuramente fallito. Le sentenze del Tribunale hanno purtroppo rafforzato le diverse narrazioni della storia degli Anni ‘90. Presentano tanti aspetti positivi, ma non quello di aver permesso una riconciliazione politica.