Intervista a Giampaolo Vitali, ricercatore del CNR e docente di Economia europea all'Università di Torino
Digitalizzazione: cambiamenti nelle imprese ed effetti sulla società. Questo il titolo della conferenza che il ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche e docente di Economia europea all’Università di Torino Giampaolo Vitali terrà la sera del 30 novembre all’Istituto Universitario Federale per la Formazione Professionale. Abbiamo colto l’occasione per porre all’ospite dello IUFFP e della CFC tre domande che ci permettono di capire meglio gli attuali sviluppi legati alla digitalizzazione e all’automazione.
Come definisce l’industria 4.0 e quale impatto ha/avrà sul mondo del lavoro?
Il termine «Industria 4.0» fa riferimento a un insieme di tecnologie che consentono di mettere in connessione macchine, oggetti e persone tra di loro, tutti insieme all’interno del cosiddetto “cyberspazio”. Le tecnologie alla base del termine “industria 4.0” sono Internet of Things, 3D print, Cloud, Big Data, Intelligenza Artificiale, Realtà Aumentata, Simulazione, Robotica e così via, e indicano un nuovo paradigma tecnologico basato sulle connessioni tra sistemi fisici e virtuali, sulla digitalizzazione della produzione, su innovazioni radicali (definite con il termine «disruptive») che sta modificando il modo di produrre e le relazioni tra gli attori economici, compresi i consumatori e i lavoratori, con rilevanti effetti sul mercato del lavoro e sulla stessa organizzazione sociale.
Per esempio, all’interno del mercato del lavoro si modifica la figura dell’operaio specializzato, che da esecutore materiale di una certa operazione sta diventando un controllore di robot industriali. Ciò implica il possesso di un set di competenze differenti rispetto al passato, e che si basano più sul
“saper decidere” che sul tradizionale “saper fare”.
Quali sono gli sviluppi legati alla digitalizzazione ai quali le imprese si devono preparare?
Le nuove tecnologie e le nuove organizzazioni del lavoro consentono di creare nuovi modelli di business, e cioè nuovi modi di proporre prodotti e servizi. Talvolta si tratta anche di prodotti e servizi tradizionali, che vengono però arricchiti (di contenuti digitali, per esempio) per soddisfare bisogni più ampi dei precedenti. Ciò favorisce le imprese nel rinnovare le modalità di produzione, aumentando l’automazione e l’efficienza aziendale, ma anche nel proporre nuovi prodotti ad alto contenuto di servizio.
Del resto, dal punto di vista dell’economista industriale, l’elemento più interessante di “Industria 4.0” è forse rappresentato dal suo ampio contesto di applicazione: il nuovo paradigma tecnologico ha una diffusione orizzontale, in quanto attraversa tutti i settori economici (sia manifatturieri che del terziario), tutte le funzioni aziendali (sia produttive, che di pianificazione, marketing, distribuzione, ecc.), tutti i segmenti del mercato del lavoro (lavori qualificati e non), tutti gli ambiti della nostra società. In questo contesto, le imprese che cavalcano il cambiamento hanno la possibilità di sfruttare nuove opportunità di crescita.
Qual è il ruolo della formazione (professionale) in questo contesto?
La formazione professionale rappresenta lo strumento sociale con il quale adattare l’attuale organizzazione del lavoro all’evoluzione in atto. In primo luogo, nel periodo di transizione che vede il diffondersi a macchia di leopardo delle tecnologie di digitalizzazione della produzione, e quindi il convivere delle nuove e delle vecchie organizzazioni, la formazione può garantire al mercato del lavoro un assorbimento graduale del cambiamento in atto: formare il personale occupato e inoccupato all’uso dei nuovi strumenti tecnologici, diffondendo tra i lavoratori una nuova “forma mentis” compatibile con le nuove organizzazioni d’impresa, rappresenta probabilmente la sfida più importante che la nostra società deve superare per poter governare il cambiamento, evitando che l’impatto delle nuove tecnologie sul lavoro sia negativo.
La maggiore difficoltà per chi progetta corsi di formazione consiste nella velocità del cambiamento in atto, che non consente di individuare con molto anticipo le figure professionali richieste dal mercato.
Pertanto, sarebbe preferibile costruire una formazione professionale di tipo “adattivo”: una robusta base formativa sull’uso delle nuove tecnologie, comune per tutti, sulla quale si possa adattare successivamente e in breve tempo l’applicazione specifica per ogni singola figura professionale.