Una su due usa ancora percloroetilene. Il capo della Protezione delle acque: «Spingiamo però per eliminarlo»
Il deputato Giancarlo Seitz che per primo, sul finire degli anni '80, segnalò gli sversamenti del dannoso solvente: «Questo solvente dovrebbe essere proibito su tutto il territorio svizzero»
LUGANO - Percloroetilene? Cosa era costui? Meglio sarebbe dire cos'è, visto che il solvente risulta ancora oggi utilizzato dalla metà delle circa cinquanta lavanderie chimiche ticinesi. Fino a una decina di anni fa era il «più in voga», come spiega il comunicato stampa odierno del Dipartimento del territorio che accompagna la scheda aggiornata concernente la protezione dell’ambiente nel settore del lavaggio a secco. Una scheda che dà conto dei controlli effettuati dal Cantone presso le varie attività artigianali.
Nessun solvente è innocuo - Nonostante in anni recenti si siano affermati solventi idrocarburici esenti da cloro, «che presentano indubbi vantaggi ecologici», questi stessi «non possono dirsi innocui per l’ambiente». Anche per questo le lavanderie chimiche, spiega il DT, «sono chiamate ad adottare sui loro impianti una serie di accorgimenti tecnici che ne permettano la trattenuta».
Bonifiche in eredità - I danni causati dalle fuoriuscite passate di percloroetilene nell’ambiente non sono peraltro estinti. «Ci sono alcuni terreni ancora inquinati da questo solvente - conferma Mauro Veronesi, capo dell’Ufficio della protezione delle acque e dell’approvvigionamento idrico -. Che cita la bonifica in corso a Bellinzona nel sedime urbano dove sorgeva l’ex lavanderia Caviezel: «Il procedimento di risanamento da percloroetilene è molto complesso e costoso. Il terreno viene scaldato, si raccolgono i vapori, si condensano...».
Ieri, oggi e domani - «Non c’è nessun obbligo di abbandonare il percloroetilene, ma noi spingiamo in tal senso. Gli stessi operatori si rendono conto che è molto più semplice usare le altre sostanze non completamente innocue ma meno problematiche» dice il capoufficio. Chi usa oggi il percloroetilene, continua Veronesi, «lo fa con cognizione di causa e protezioni accresciute. Gli inquinamenti sono situazioni storiche e uniche che non abbiamo più riscontrato. Oggi esiste anche un monitoraggio delle falde molto attento».
Il termine fissato da Camani - E in passato? Meglio stendere un velo pietoso. Anzi no, il granconsigliere Giancarlo Seitz riesuma volentieri gli scheletri di quelli che furono i danni causati dal percloroetilene ed è un fiume in piena: «È stato il mio primo atto in consiglio comunale a Lugano. Era la fine degli anni ‘80 e ne parlarono tutti i giornali svizzeri» ricorda il deputato. «Fu l’allora caposezione Mario Camani a fissare un limite temporale di 10 anni per obbligare le lavanderie chimiche ad adottare un circuito chiuso per i solventi e dimostrare che il prodotto veniva riciclato».
Prima scaricavano nel lavandino - La gestione in quegli anni del percloroetilene in Ticino era, per usare un termine gentile, disastrosa: «A parlarmene la prima volta fu Werner Tarnutzer, che a Lugano aveva una lavanderia chimica in via Frasca. Era disgustato per come il solvente veniva scaricato nell’ambiente e mi chiese di denunciare pubblicamente il problema». Cosa scoprì Tarnutzer? «Con un grandissimo lavoro scoprì che su una sessantina di lavanderie chimiche solo in quattro consegnavano alla Centonze per il reciclo il prodotto usato per lavare i panni a secco. Tutte le altre scaricavano il percloroetilene nel lavandino».
Dai motori al formaggio - La denuncia di Seitz attirò appunto l’attenzione dei media svizzeri: «Non era usato solo nelle lavanderie, ma anche dai meccanici per sgrassare i pezzi dei motori». Ma è sulle lavanderie chimiche che la vicenda ebbe un seguito: «I giornali oltralpe scoprirono che nei negozi di alimentari accanto alle lavanderie il cibo, in particolare il formaggio, conteneva tracce di percloroetilene». L’uso ancora oggi del solvente non trova giustificazioni secondo il deputato: «Il percloroetilene dovrebbe essere proibito su tutto il territorio svizzero».