Il film "Lettres Ouvertes" di Katharine Dominicé è al contempo critica ed elogio della politica migratoria svizzera
LUGANO - Sono fuggiti dall’autoritarismo, dalla persecuzione politica e dalla miseria. Non sono stati accolti o compresi, ma sfruttati. È la dura realtà dei lavoratori stagionali che dalla Galizia, dall’Albania, dall’Italia e dal Portogallo sono migrati in Svizzera negli anni Sessanta e Settanta. La loro storia è raccontata nel film "Lettres Ouvertes" in programma al Film Festival dei Diritti Umani il 25 ottobre alle 17.30.
La pellicola di Katharine Dominicé narra delle difficili condizioni di vita dei lavoratori stagionali e delle loro famiglie, costrette a subire delusioni e umiliazioni in cambio di una vita a margine della società e al limite della legalità. I detentori del permesso A (rilasciato tra il 1931 e il 2002) avevano la possibilità di soggiornare e lavorare in Svizzera per la durata di nove mesi, ma non beneficiavano di nessun tipo di copertura in caso di malattia, infortunio o disoccupazione. Non avevano, inoltre, la possibilità di cambiare datore di lavoro e, addirittura, di ricongiungersi ai famigliari.
Molti degli edifici più prestigiosi di Ginevra - come il palazzo delle Nazioni Unite, ad esempio - sono stati interamente costruiti grazie all’opera dei lavoratori stagionali. Innumerevoli strade, dighe e centrali elettriche, stadi di calcio, grandi alberghi e centri commerciali non sarebbero stati edificati senza l’impegno, il coraggio e la determinazione di uomini (e non braccia, per citare Max Frisch) giunti in Svizzera in cerca di dignità e lavoro.
L'opera di Dominicé è incentrata sui diritti e la giustizia sociale. È al contempo grido, critica ed elogio a quel poco che è stato fatto per migliorare la condizione dei lavoratori che hanno fatto la Svizzera.
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