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STORIABreve storia dell'Ordine dei Poveri Compagni d'armi di Cristo e del Tempio di Salomone (Templari)

25.01.12 - 16:00
L'origine, l'opera, la fine e i misteri di uno degli Ordini più influenti e controversi della Storia
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Breve storia dell'Ordine dei Poveri Compagni d'armi di Cristo e del Tempio di Salomone (Templari)
L'origine, l'opera, la fine e i misteri di uno degli Ordini più influenti e controversi della Storia

Premessa
Se non vado errato, è da un paio d’anni che iTio ha offerto la possibilità ai blogger di aprire un proprio profilo, tramite il quale poter pubblicare dei contributi personali sui più disparati temi.
Sul profilo, esiste anche la possibilità di inserire un’immagine (foto, logo, simbolo, ecc.).
Io ho approfittato fin dal principio di questa possibilità e, come simbolo, ho scelto la Croce Templare, che appare tuttora accanto al mio nickname, nonostante tutto.
Dico nonostante tutto, perché quasi da subito, alcuni blogger a me ostili e anche un po’ sprovveduti, hanno cominciato a fare riferimenti fantasiosi sulla Croce Templare e su quello che rappresenta.
C’è chi l’ha paragonata ai crociati, chi ai nazisti, chi l’ha accostata a strane e improbabili sette religiose e c’è stato anche chi ha perfino eretto la Croce Templare a simbolo dell’integralismo clericale.
Tuttavia, il massimo dell’imperizia, si è raggiunta con la vicenda della strage di Oslo e Utoya, quando il mondo è venuto a conoscenza di Anders Behring Breivik, il pazzo criminale che ha ucciso decine di innocenti in Norvegia.

Siccome Breivik, tra le altre cose, si era appropriato anche della simbologia Templare per propagandare i suoi deliri, i blogger a me più ostili si sono scatenati.
Pur non sapendo alcunché sui Templari, hanno subito criminalizzato l’uso della Croce Templare ed è stata l’occasione per identificare e associare me con il criminale norvegese.
Comunque c’è anche da dire che, quest’aberrante fenomeno di facili associazioni, si è prodotto anche con altri simboli dell’antichità. Tutti fenomeni prodotti da una profonda ignoranza in materia o da ricorrenti tentativi di avvalorare le proprie ideologie, appropriandosi arbitrariamente di simboli antichi, da parte di associazioni, ideologie e sette varie.

Dal canto mio, ho usato la Croce Templare quale simbolo del mio profilo solo perché sono rimasto affascinato da quello che i Templari hanno rappresentato nel corso della Storia, in quanto a gesta compiute, interrogativi ancora insoluti ed eredità misteriose.

Cercherò dunque, in queste righe, di fornire alcuni cenni storici sui Templari, a tutti coloro che ne fossero interessati e per fare un po’ di chiarezza sull’argomento.

L’origine
L'immagine che la gran parte di noi si è fatta sin dall'infanzia dell'intrepido crociato facente sfoggio di una folta barba, avvolto in un mantello bianco su cui campeggiava una croce rossa, giustiziere degli empi e protettore dei giusti, è in realtà una rappresentazione del tutto generica.
La croce rossa sulla veste bianca non era la divisa di tutti i crociati, ma soltanto di una cerchia di monaci guerrieri, i Templari.
Il fitto mistero che ne circonda l'apparizione, le ricchezze accumulate e l'influenza esercitata, nonché la rovina, totale e imprevista, del venerdì 13 ottobre 1307, hanno reso l'ordine del tempio oggetto di dibattiti e di immaginose speculazioni, protrattisi ininterrotti fino ai giorni nostri.

I musulmani avevano regnato su Gerusalemme sin dal VII secolo senza mai negare l'accesso alla città a ebrei e cristiani, fatto questo che per ragioni diverse aveva favorito indubbiamente tutte e tre le religioni.
Quando però, verso la fine dell’XI secolo, la città fu occupata dai turchi selgiuchidi, che manifestarono sentimenti d’intolleranza verso i pellegrinaggi cristiani, le autorità ecclesiastiche mobilitarono le proprie forze per riconquistare la Terra Santa.
Negli anni successivi alla conquista di Gerusalemme ebbero inizio i pellegrinaggi alla Città Santa da parte dei fedeli cristiani che, accorrendo un po' da tutta Europa, intraprendevano un viaggio interminabile e pieno d’insidie, che risparmiava soltanto le persone di forte e sana costituzione.

Di fronte al numero crescente di pellegrini che dai porti di Acri, Tiro e Giaffa partivano alla volta di Gerusalemme, iniziarono a sorgere delle difficoltà, che si protrassero finché non fu realizzata un'infrastruttura adatta ad accoglierli.
Un ruolo importante in questo senso fu quello sostenuto dall'Ospizio di Amalfi a Gerusalemme, fondato dai «cavalieri Ospedalieri» come centro di ristoro e rifugio offerto al flusso ininterrotto di viaggiatori.
L'importanza e la ricchezza di quest’ordine di monaci, di limitate proporzioni e ignoto ai più, crebbero in maniera proporzionale al numero dei visitatori.
L'ordine si sviluppò assai rapidamente e il priore che lo capeggiava fu un individuo senz'altro dotato di grande ambizione e astuzia politica, a giudicare dall'anomala iniziativa di istituire un esercito nelle cui file vennero ammessi anche i cavalieri, e di cambiare il nome dell'ordine in «Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme».
Il Papa accordò la sua benedizione nel 1118, anno della redazione della costituzione formale dell'ordine, nota come la «Regola».

Questa fu l'organizzazione che con tutta probabilità suggestionò Ugo di Payns, un nobile francese nativo della Champagne, che quello stesso anno, fondò assieme ad altri otto cavalieri l'ordine dei Poveri cavalieri del Cristo e del tempio di Salomone.
La tradizione narra che Re Baldovino II, patriarca di Gerusalemme, offri prontamente il suo appoggio al nuovo ordine, ospitando i cavalieri nella parte orientale del suo palazzo, confinante con l'antica moschea di al-Aqsa, sul luogo ove sorgeva il tempio di Re Salomone.
Si dice che i Templari avessero come obiettivo quello di vigilare sulla sicurezza del continuo flusso di pellegrini lungo il pericoloso tragitto costiero tra il porto di Giaffa e quello di Gerusalemme.

I primi membri dell'ordine erano laici dediti alla vita monastica, avendo fatto voto di povertà, castità e obbedienza. Inizialmente essi non vestivano abiti particolari, ma erano soliti pregare a intervalli regolari e osservare una condotta simile a quella dettata dagli ordini religiosi.
Questi nove cavalieri, a quanto si narra giunti dalla Francia in un periodo imprecisato nel 1118, si dichiararono custodi delle strade desertiche della Giudea che conducevano a Gerusalemme.
A questo proposito, rimane ancora insoluto uno dei tanti misteri riguardo ai motivi che spinsero degli aristocratici francesi ad essersi assunti un onere che, nella migliore delle ipotesi era ottimistico e, nella peggiore alquanto sconsiderato.
Infatti, considerate le capacità belliche e il tipo di armi utilizzate, persino un manipolo di saraceni avrebbe potuto metterli fuori gioco.
Inoltre, Fulcherio di Chartres, cappellano di Baldovino II, non fa menzione dei Templari nelle sue cronache, che coprono i primi nove anni di vita non ufficiale dell'ordine.

La prima testimonianza certa dei Templari risale al 1121, quando un tal conte Fulk V di Angiò rimase a pensione presso di loro, lasciando prima di andarsene un'annualità di trenta libbre angioine.
Infine, i documenti disponibili mostrano chiaramente che la cerchia dei nove cavalieri si ampliò soltanto molto tempo dopo la fondazione dell’Ordine.

Quando Ugo di Payns partì verso occidente in cerca di reclute meritevoli con cui ingrossare le file dell'ordine a proporzioni più consone alla missione prefissa, essi avevano già trascorso almeno nove anni di vita comune nella dimora posta sul luogo in cui sorgeva il tempio di Erode.

Che cosa cercavano a Gerusalemme?
Già fin qui, ci sono diversi interrogativi interessanti che dimostrano che qualcosa d’insolito doveva celarsi in tutto ciò. Se l'ipotesi dei cavalieri dediti alla protezione dei pellegrini difettava già di concrete testimonianze, dobbiamo aggiungervi il fatto dimostrato che essi erano rimasti a lungo impegnati a scavare tra le rovine del tempio di Erode.
Diversi studiosi sono concordi nel nutrire delle riserve riguardo alla versione ufficiale del tipo di missione condotta dai Templari.
Lo storico francese Gaetan Delaforge, per esempio, afferma che la missione reale dei nove cavalieri consisteva nel condurre delle ricerche in quell'area pere riportare alla luce certi resti e manoscritti che celavano l'essenza delle arcane tradizioni del giudaismo e dell'antico Egitto, alcuni risalenti con tutta probabilità all'epoca di Mosè.
Lo studioso Graham Hancock, autore di vari libri e pubblicazioni, si avvalse di tale argomentazione per mettere in discussione l'identità dei Templari, asserendo che il fulcro del loro interesse sarebbe stato il luogo stesso in cui sorgeva il tempio e che vi sarebbero le prove di importanti lavori di scavo qui realizzati. A questo proposito egli cita il resoconto ufficiale di un archeologo israeliano, il quale sostiene che tra le rovine del tempio i cavalieri cercavano qualcosa d’importante.
Un’ulteriore testimonianza della campagna di scavo condotta dai Templari in cerca di qualche importante reperto, è comprovata dagli scritti del tenente Charles Wilson, dell'arma del genio britannico, il quale guidò una spedizione archeologica a Gerusalemme nel 1867.
Da sotto il tempio, a una certa profondità, egli disseppellì una serie di oggetti, identificabili senza dubbio come manufatti appartenenti ai Templari.
Robert Brydon, un massone erudito e archivista dell'ordine, residente in Scozia, che già custodiva numerosi reperti del genere, conferma una diretta discendenza tra i Templari e la moderna massoneria.
Tutte queste numerose testimonianze, risultanti da attenti studi, fanno risultare molto probabile che i Templari furono effettivamente occupati in una campagna di scavo.
Rimanevano però aperti due interrogativi: che cosa stavano cercando? e, soprattutto, che cosa hanno rinvenuto?

Alcuni storici sostengono che essi fossero sulle tracce dei tesori perduti del tempio, che avessero intrapreso la ricerca del Sacro Graal o che sperassero di trovare nientemeno che l’Arca dell’Alleanza.
A prescindere dalle fantasticherie che girano tuttora intorno a questa storia, resta il fatto che i lavori dei nove cavalieri presso le macerie del grande tempio ebraico si protrassero per nove anni, durante i quali essi non promossero né concessero l'ingresso nel loro gruppo di nuovi affiliati, vivendo soltanto della carità di Baldovino.
Il cunicolo scavato nella roccia massiccia centimetro dopo centimetro, anno dopo anno, si avvicinava inesorabilmente al basamento del Santo dei Santi.
Ma sembra che qualcosa accadde, determinando una variazione del progetto iniziale.
Alcuni studiosi, hanno ragione di credere che la partenza di Ugo di Payns verso occidente per reclutare nuovi adepti non fu una coincidenza, perché avvenne solo alcuni mesi dopo la morte di Baldovino, avvenuta nell'ottobre del 1131.
Forse i cavalieri avevano esaurito cibo e denari prima di portare a compimento la propria misteriosa missione? 0 avevano atteso invece la scomparsa di Baldovino per tenersi la sua parte di tesoro?

La Regola
Pare comunque che il viaggio di Payns sia da imputarsi a una sincera preoccupazione riguardo al futuro dell’Ordine.
I timori del nobile sono chiaramente espressi in una lettera, scritta durante il tragitto attraverso l'Europa, in cui non si fa mistero dell'urgenza di rinsaldare le convinzioni dei compagni rimasti a Gerusalemme.
Egli fa riferimento in particolare alla loro originaria vocazione, indebolita dal demonio e termina la lettera con citazioni bibliche, per rinfrancare i sette cavalieri rimasti nella Città Santa.
Uno di loro, André di Montbard, zio del giovanissimo abate di Chiaravalle (il futuro San Bernardo), accompagnava invece Payns nel suo viaggio.
Fu forse in virtù di questa parentela che essi scelsero di recarsi, come prima tappa, proprio da Bernardo, il quale rimase molto colpito dal racconto dello zio.
Le parole stesse da lui impiegate nel promuovere la campagna di assistenza ai Templari, non lasciano adito a dubbi riguardo all'opinione ch'egli si era fatta dei cavalieri di Gerusalemme: «Essi non si precipitano a capofitto in battaglia, ma piuttosto l'affrontano con cura e prudenza, in maniera pacifica, come figli genuini d’Israele. Epperò, una volta iniziato il combattimento, essi si gettano senz'altro sul nemico ... senza tema ... spesso uno contro un altro; duemila, diecimila ... più delicati di agnelli, più risoluti di leoni; dacché essi posseggono la mitezza del monaco e l'ardire del cavaliere».

Il futuro San Bernardo non perse tempo e sottopose il caso del nascente ordine all'attenzione di Papa Onofrio II, pregando il pontefice che al gruppo dei suoi protetti fosse data una «Regola», una legislazione propria che prescrivesse delle norme di condotta e delle consuetudini pratiche, così da legittimare l'ordine e definirne lo status all'interno della chiesa.
La Regola fu concessa il 31 gennaio 1128, data in cui Ugo di Payns si presentò al Concilio di Troyes, appositamente convocato e presieduto dal cardinale di Albano, legato pontificio, e composto dall'arcivescovo di Reims, da una decina di Vescovi e da alcuni Abati, incluso lo stesso Bernardo.
Presentata la proposta, i Templari ricevettero la propria Regola e ottennero il diritto di indossare i propri caratteristici mantelli, a quel tempo di un bianco candido.
Agli occhi del mondo essi erano ora, oltre che cavalieri, anche autentici monaci.

Dalla concessione di questa Regola, che stranamente escludeva il compito di proteggere i pellegrini che si recavano in Terra Santa, nascono ulteriori interrogativi.

L'urgenza di finanziamenti, di forza lavoro e, presumibilmente, di ecclesiastici per rinverdire gli animi, costringeva ora i nove cava]ieri originari, per lungo tempo riluttanti ad accogliere nuovi adepti, a cambiare atteggiamento.
Secondo i dettami della nuova Regola, l'aspirante «fratello» doveva sottostare a un periodo di prova di un anno e prestare immediato giuramento di povertà, per cui l'intero suo patrimonio passava automaticamente di proprietà dell'ordine.
Il candidato doveva, inoltre, essere uomo di nobile stirpe, legittimo di nascita, libero da qualsivoglia voto o vincolo e di sana costituzione.
Al momento dell'ammissione nell’Ordine, il fratello accettato non possedeva che la propria spada; al di là di questa, egli non aveva identità; la sua tomba, nell'ora della morte, non avrebbe recato iscrizioni ma sarebbe stata semplicemente contraddistinta da una pietra rettangolare, su cui sarebbe stata incisa la sagoma dell'arma.

Dal momento della consegna della Regola, le circostanze volsero sempre più in favore dei Templari, che acquisirono un potere indicibile. Ottennero l'appoggio di un gran numero di proprietari terrieri, mentre dagli angoli più remoti del mondo cristiano doni ed elargizioni iniziarono a riversarsi nelle casse della confraternita.
Del valore di quest'ultima il pontefice si era persuaso grazie ai giudizi favorevoli di Bernardo e, in breve tempo, la causa dei Templari divenne la più spalleggiata, successo questo coronato da generose donazioni.

Quando, due anni dopo la loro partenza da Gerusalemme, Ugo di Payns e André di Montbard fecero ritorno alla Città Santa, la fama dell'ordine aveva raggiunto vette eccezionali.
Essi avevano lasciato l'Oriente a mani vuote ed erano tornati con una Regola pontificia, denari, oggetti preziosi, terre e almeno trecento nobili arruolati nell'importante ordine capeggiato dal gran maestro Ugo di Payns.
Per generare un tale interesse e un tale desiderio di soccorso nei confronti dell'ordine questi doveva aver escogitato qualcosa di realmente tangibile.

Come ben descritto dalla Regola, agli aspiranti Templari era prescritto il voto di povertà, castità e obbedienza, ma non vi sono documenti che specifichino se la Regola si rivolgesse anche ai fondatori stessi dell'ordine.
Di sicuro si sa che Ugo di Payns conservò il vincolo matrimoniale con Caterina di Saint Clair, scozzese di discendenza normanna, che fondò in Scozia, sulle terre di proprietà del casato della consorte, la prima comunità di Templari al di fuori della Terra Santa.

Ai nuovi adepti era posto l'obbligo di tagliarsi i capelli e di farsi crescere la barba. Da qui l'immagine ben nota del templare dalla lunga barba fluente.
La Regola disciplinava, inoltre, tutti gli aspetti del vivere quotidiano, compresi regime dietetico e abbigliamento.
Rigorosamente regolamentata, era la condotta sul campo di battaglia. A un templare non era concesso chiedere pietà o ottenere la liberazione attraverso il riscatto, per contro egli era tenuto a combattere fino alla morte.
Egualmente vietata era la ritirata, salvo i casi di netta disparità numerica, laddove l'esercito nemico superasse di oltre tre volte la compagine templare.
Risulta chiaramente da documenti musulmani e cristiani che i cavalieri dell'ordine fossero, al contempo, temuti e rispettati per le proprie doti militari.

Circa dieci anni dopo il conferimento della «Regola latina» i Templari avevano sviluppato una tale considerazione di sé, da decidere di sostituirla con una «Regola francese», elaborata unilateralmente nella lingua di lavoro dei membri dell'ordine.
La spavalderia con cui procedettero in questa direzione offre la misura del potere e dell'indipendenza goduta dai cavalieri.
Da notare che, nonostante le apprezzabili modifiche rispetto al primo, questo secondo ordinamento continuava a ignorare la missione nei confronti dei pellegrini cristiani.
Fu accantonato, invece, il periodo probatorio imposto ai novizi e adottata una nuova norma di eccezionale rilievo, che subito determinò delle modifiche ai fondamenti legali dell'ordine.

La Regola latina conteneva un obbligo che così disponeva: « ... e vi recherete, inoltre, laddove si radunano i cavalieri non scomunicati», che nella versione francese, tradotta e rettificata, presentava una rilevante differenza: «Noi vi comandiamo di recarvi laddove si radunano i cavalieri scomunicati».
Da questo che può sembrare un dettaglio, si evince che i Templari vivevano al margini dell'autorità vaticana.
Un errore di traduzione è decisamente da escludersi, giacché gli ecclesiastici erano alle prese con la propria lingua madre e con un manoscritto a loro familiare; inoltre, un tale rivolgimento di senso non sarebbe certo passato inosservato al membri della comunità, anche nel caso in cui nell'originale fosse contenuto un errore madornale.

L'organizzazione dell'ordine
L'ordine non era costituito esclusivamente da cavalieri. In aggiunta alla classe dei fratelli a pieno titolo, infatti, esistevano due classi minori. I membri della prima classe, detti sergenti, venivano reclutati da quello che oggigiorno definiremmo il rango operaio, al contrario dei cavalieri, di estrazione esclusivamente aristocratica.
Ai sergenti erano riservati compiti di stalliere, dispensiere, sentinella o di soldato delle truppe di rincalzo.
Alla stregua dei superiori essi portavano una croce rossa, ma il mantello era bruno, emblema della condizione d’impuri rispetto ai Cavalieri dell'Ordine.
I membri del secondo gruppo erano gli ecclesiastici, che si occupavano dei bisogni spirituali degli affiliati. Veri e propri sacerdoti, erano gli unici nella confraternita a vantare un'istruzione, il che dava loro il diritto di redigere resoconti e comunicati, spesso facendo ricorso a codici estremamente complessi.
Sebbene la lingua parlata dai Templari e utilizzata a skopi amministrativi fosse il francese, questi versatili sacerdoti erano in grado di dire la messa in latino, di contrattare con i mercanti locali in arabo, di leggere in maniera discreta l'Antico Testamento in ebraico e il Nuovo Testamento in greco. Erano dei veri "poliglotti".
Padri spirituali dei soldati, anch'essi portavano la croce templare sul petto, ma si distinguevano dal resto dei confrères per il mantello di colore verde.

Come i sacerdoti moderni, questi uomini di chiesa consacravano il pane e il vino durante il sacramento dell'eucarestia. Tale era la loro serietà nell'assolvere a questo compito che, a quanto si narra, essi erano soliti indossare dei guanti bianchi per tutta la durata della cerimonia, salvo che nel momento in cui offrivano l'ostia ai fedeli durante la comunione.
Questa consuetudine permetteva loro di conservare le mani sufficientemente pulite per poter degnamente toccare l'ostia, ossia il corpo di Cristo, che non doveva essere imbrattata dal sudiciume delle profane attività quotidiane.
Curiosamente, il dettaglio dei guanti bianchi trova corrispondenza nella consuetudine del moderno massone di sfoggiarne anch'egli un paio in occasione delle adunanze di loggia, consuetudine rimasta fino a questo momento inspiegata.
Poteva tale analogia celare un legame tra i due ordini?

Altra eco remota della pratica libero muratoria attuale si riscontra nell'uso fatto dai Templari di un vello di pecora come unica forma ornamentale consentita, nonché l'obbligo, dettato dalla Regola, di indossare sotto l'abito calzoni aderenti di pelle di pecora, elevati a simbolo di innocenza e castità. Durante le tornate di loggia i moderni massoni sono soliti portare, invece dei calzoni di pecora, un grembiule di pelle d'agnello, emblema dell'innocenza e dell'amicizia.

Un'ultima analogia sembrava anticipare la pratica massonica in maniera piuttosto tangibile.
Il baussant, il gonfalone da guerra del tempio, consisteva di due tronchi verticali, rispettivamente di colore bianco e nero. Il blocco nero simboleggiava il mondo peccaminoso che il cavaliere si era lasciato alle spalle affiliandosi all'ordine; quello bianco rispecchiava il moto dalle tenebre alla luce.
Similmente, al centro della moderna loggia massonica è presente un mosaico a pianelle bianche e nere, mentre per essere ammesso ai lavori di loggia ciascun fratello è tenuto a indossare un abito nero con cravatta dello stesso colore sopra una camicia immacolata.
Nessuno fino ad allora era riuscito a dare una spiegazione plausibile del perché un grembiule di pelle d'agnello e i colori bianco e nero costituissero l'abbigliamento appropriato per comparire sotto le volte stellate del tempio.

L’opera
Rimane comunque ancora aperto l’interrogativo più importante e cioè "quale fu la scoperta dei Templari che tanto rilievo ebbe sullo sviluppo dell'ordine?"
In risposta a questo interrogativo, circolano diverse versioni, leggendarie o meno.
Quella più accreditata sembra essere quella relativa alla scoperta dei famosi Manoscritti dei Nazarei, sui quali si legge di una versione dei fatti riguardante Gesù e la Chiesa di Gerusalemme che è ben diversa da quella ufficiale.
Secondo quanto riportato sui manoscritti, Gesù non era affatto un’entità divina, bensì un capo regale. Ma non è tutto. Sembra anche che i primi Templari misero le mani sull'oro, l'argento e gli altri tesori sepolti dagli ebrei sul finire della guerra del 66-70 d.C., quando ormai i romani marciavano verso la vittoria.
Non si spiegherebbe altrimenti la rapidità con cui l'ordine andò accumulando ricchezze e potere.
E' quasi superfluo sottolineare, infine, che se veramente i Templari rinvennero il tesoro, essi non ne fecero parola con alcuno, e tanto meno menzionarono il fatto in qualche documento scritto.

La scoperta, era comunque destinata ad avere delle ripercussioni in Francia, la patria dei Templari. Ci vollero diverse decine di anni perché l'ordine fondato da Ugo di Payns e dai suoi compagni nel 1118 d.C. emergesse nel novero delle più potenti istituzioni cristiane, ma cinquant'anni più tardi la Francia sarebbe stata teatro di una serie di incredibili accadimenti.

Solamente in questo paese, nel giro di un solo secolo, a partire dal 1170, furono innalzate almeno 80 cattedrali e quasi 500 abbazie, con l'impiego di una quantità di risorse mai registrata prima, nemmeno nell'Egitto dei faraoni!
Si trattava di edifici dalle dimensioni mastodontiche, costruiti in base a progetti assolutamente nuovi e originali.
Un esempio tipico è rappresentato dalla cattedrale di Chartres, che slancia verso il cielo la propria struttura di colonne ornate e vetrate.
A sovrintendere i lavori di costruzione di tali santuari in tutto il paese furono i Templari, i quali si diedero la missione di «edificare Gerusalemme» secondo un nuovo, glorioso stile architettonico, contraddistinto da pilastri, torri e guglie puntate verso il paradiso.
In sintesi, è appurato che i Templari erano divenuti maestri nell'arte muratoria, usando tecniche edificatorie fino ad allora sconosciute.

La fine
Sebbene i Templari facessero riferimento direttamente al papa, la lingua parlata all'interno della confraternita era il francese e molteplici erano i legami che li vincolavano a quel paese.
Regnava in Francia a quel tempo Filippo IV, detto il Bello, un sovrano particolarmente presuntuoso e ricco di ambizioni, incline a servirsi di Papa Bonifacio VIII per realizzare i propri fini.
I due vennero ai ferri corti quando il pontefice rifiutò a Filippo il Bello la propria autorizzazione a imporre tributi alla chiesa francese.
Nel 1302 Bonifacio dichiarò che «lo spirituale è superiore al temporale» e che «opporsi al pontefice equivale a opporsi a Dio». Per tutta risposta Filippo annunciò al mondo che il Papa non era degno di sedere sul «trono di Pietro», accusandolo dei crimini più impensati, tra cui blasfemia, eresia, omicidio e, dulcis in fundo, sodomia.
Talmente sconfinato era il desiderio di vedere il proprio rivale nella polvere da giungere persino a sostenere, mettendo a dura prova la credulità della società medievale, che Bonifacio avesse stretto una segreta relazione sessuale con un demone che albergava nell'anello del pontefice.
Non deve, quindi, meravigliare il furore del Papa, che reagì a quelle calunnie comminando la più grave delle scomuniche al monarca in persona, anziché al suo regno.
Costui, tuttavia, era riuscito a racimolare un discreto numero di sostenitori in Francia, tale da costringere il pontefice a pronunciare la minaccia di «interdizione» valevole su tutto il paese, un'eventualità meno temibile della scomunica, ma comunque sempre piuttosto sgradevole.
Per tutta la durata dell'interdizione, infatti, sul territorio francese sarebbe gravato il divieto di celebrare i sacramenti del battesimo, della comunione e della confessione, nonché i funerali secondo il rito cristiano.

Consapevole che una simile sanzione imposta alla nazione avrebbe significato per lui l'immediata detronizzazione, Filippo inviò i suoi tirapiedi alla volta della sede pontificia, recanti «un'offerta che il Papa non avrebbe potuto rifiutare».
L'8 settembre 1303 Guillaume de Nogaret e i suoi compari entrarono nel palazzo di Anagni, dove, afferrato il pontefice già avanti con l'età, lo maltrattarono senza risparmiargli le più spaventevoli intimidazioni.
Da tali tormenti il pontefice non si sarebbe più riavuto, morendo cinque settimane più tardi, presumibilmente a causa dello stress sofferto per l'attacco ordinato da Filippo di Francia.

In seguito alle crescenti pretese avanzate dal sovrano nel confronti del nuovo Papa Benedetto XI, il rapporto tra i due, nato all'insegna dell'amicizia, non tardò a deteriorarsi, inducendo il pontefice ad accusare pubblicamente il Re francese di aver ordito l'attacco di Anagni contro Bonifacio.
Di lì a qualche tempo Benedetto XI sarebbe morto, avvelenato per mano di Filippo il Bello, che si arrogò il diritto di scegliere il suo successore nella persona di Bernard de Goth, arcivescovo di Bordeaux che assunse il nome di Clemente V.

Nel 1305, il Re megalomane riuscì a stendere le grinfie sul vicario di Cristo e, di riflesso, su tutta la cristianità occidentale.
Senza perdere tempo impose al clero francese una tassa del dieci per cento su tutte le entrate lorde, un aggravio a malapena sostenibile.
Quattro anni più tardi Clemente V, il pontefice fantoccio, trasferì di fatto la sede papale ad Avignone, dove vi rimase per i seguenti 75 anni.

Se godeva ora del potere desiderato, Filippo il Bello necessitava, però, di maggiori ricchezze.
Per suo conto il tirapiedi Guillaume de Nogaret, uomo di spiccato ingegno, portò a termine un'inaudita ruberia, tanto brillante quanto indegna.
La mattina del 22 luglio 1306, dopo aver studiato il piano con estrema cautela e precisione, le truppe del Re si sparpagliarono a piccoli gruppi per tutto il paese, arrestando fino all'ultimo ebreo residente in Francia.
Gli sventurati prigionieri furono in breve costretti all'esilio, non senza prima essere stati spogliati completamente dei loro beni, che passarono subito in proprietà alla corona.
Era prevedibile, quindi, che il cupido sovrano avrebbe prima o poi messo gli occhi sull'ordine templare, a quel momento comandato da Jacques de Molay, sulle ricchezze del tempio di Parigi, sulle terre e sugli interessi commerciali della confraternita in Francia.
Sennonché Filippo non poteva sperare di aver ragione di una comunità di tale influenza con delle operazioni di manifesta pirateria, ben sapendo che i Templari rispondevano delle proprie azioni soltanto dinanzi al pontefice e non erano soggetti alle leggi delle nazioni.
Ma quando erano in gioco ricchezze e potere, il Re si rivelava un uomo dalle infinite risorse: egli riuscì a creare le circostanze più favorevoli alla riuscita del suo piano.

Sin dalla nascita dell'ordine si era diffuso il sospetto che i Templari fossero dediti alla pratica di inconsueti rituali, senza che però tale sospetto si trasformasse mai in una congettura seria, grazie soprattutto all'influenza e all'autorità di costoro all'interno del mondo cattolico.
Fu proprio il carattere di segretezza delle loro pratiche a offrire l’opportunità al dilagare di accuse false, tuttavia ritenute fondate.
Guillaume de Nogaret si occupò di elaborare un piano per distruggere l'ordine e appropriarsi delle sue fortune. E’ certo che almeno una delle sue spie riuscì a farsi ammettere tra i cavalieri, ma fu ben presto chiaro che le informazioni diligentemente raccolte da costui sul carattere dei riti segreti templari non erano abbastanza sensazionali perché si potesse mettere in croce la comunità più insigne del mondo e offrirne le ricchezze su un piatto d'argento a Filippo.
Per compensare questa carenza di prove schiaccianti per l'incriminazione dell'ordine, sarebbe però bastato «scoprire» nuove informazioni e fu proprio in questa direzione che si mosse de Nogaret.
Dinanzi alla comparsa di diverse persone che si dicevano testimoni di abominevoli imprese, Re Filippo si sentì «costretto» a mettere al corrente il pontefice di quella deplorevole situazione a tempo debito.

Il progetto di de Nogaret prevedeva l'arresto simultaneo dell'intera compagine templare. Se si considera che all'epoca, sul solo territorio francese, risiedevano 15’000 Templari, il piano del tirapiedi di Filippo risalta in tutta la sua inattuabilità. E tuttavia non va dimenticata l'eccezionale esperienza di de Nogaret in fatto di imprigionamenti di massa dopo gli avvenimenti dell'anno precedente, quando l'intera comunità ebraica era stata catturata in un unico lasso di tempo.
La data dell'arresto dei Templari fu fissata per venerdì 13 ottobre 1307.
Tre settimane prima i siniscalchi reali ricevettero degli ordini sigillati, con l'ingiunzione di non aprirli prima di giovedì 12 ottobre.

Secondo la testimonianza di Squin de Flexian, ex Templare, quelle che seguono furono le principali accuse mosse all'ordine:
- Al momento dell'ammissione tutti i Templari giurano di non abbandonare giammai l'ordine e di perseguirne gli interessi con qualsiasi mezzo, giusto o sbagliato che sia.
- I capi dell'ordine hanno stretto un'alleanza segreta con i saraceni, e in cuor loro l'infedeltà maomettana eclissa la fede cristiana, giacché a ciascun novizio è chiesto di sputare sulla croce e di calpestarla.
- I capi dell'ordine sono uomini eretici, crudeli e sacrileghi, che trucidano o mettono in catene il neofita che, scoperta l'iniquità dell'ordine, desidera allontanarsene. Costoro, oltretutto, istruiscono all'aborto le donne gravide dei loro figli e uccidono in segreto i neonati.
- Essi sono ammorbati dagli errori dei Fraticelli, disprezzano il Papa e l'autorità ecclesiastica, e hanno in dispregio i sacramenti, in specie quelli della penitenza e della confessione.
- Essi sono dediti ai più infamanti eccessi della depravazione e se qualche affiliato mostra ripugnanza dinanzi a tale condotta, costui è punito con la prigionia a vita.
- Le dimore dei Templari sono ricettacoli di tutti i crimini e gli abomini cui la mente possa pensare.
- L'ordine opera allo scopo di consegnare la Terra Santa nelle mani dei saraceni.
- Il maestro è insediato in tutta segretezza, alla presenza di pochi fratelli novelli, e che costui ripudia il proprio credo cristiano con azioni contrarie al diritto.
- Molte norme dell'ordine sono incompatibili con la legge, profane e avverse al cristianesimo. Che è fatto divieto al membri, sotto pena della relegazione a vita, di rivelarle a chicchessia.
- Qualsivoglia sregolatezza o crimine commessi per l'onore o il beneficio dell'ordine non sono reputati peccati.

Nella mattinata di venerdì 13 ottobre fu completato l'arresto di quindicimila Templari circa, compreso lo stesso de Molay.
Il falso testimone più importante fu de Flexian, un uomo incriminato di eresia e di altri reati, il quale, assieme a Florentine detto Noffo Dei, depose contro l'ordine in cambio della scarcerazione e del perdono.
All'Inquisizione fu dato l'ordine di estrocere le confessioni con qualsiasi mezzo, senza risparmiare sulle torture.
Alla luce delle conoscenze attuali non è difficile considerare tali accuse come mere invenzioni architettate dagli accusatori.

Non tutte le nazioni procedettero con celerità all'arresto e all'interrogatorio degli appartenenti all'ordine, come disponeva l'ordinanza pontificia, accolta con maggior riluttanza in particolare da Portogallo, Irlanda, Scozia e Inghilterra.
Dopo qualche ritrosia, Edoardo II d'Inghilterra finì per conformarsi al decreto papale, senza però ottenere mai risultati soddisfacenti attraverso le torture, al punto che l'Inquisizione di Parigi giunse a offrire la propria assistenza mettendo a disposizione degli uomini più qualificati, con una dimostrata propensione nei confronti di quel tipo di attività.

Nel giugno del 1311 l'Inquisizione inglese riuscì a strappare delle informazioni di estremo rilievo dalle labbra di un Templare di nome Stephen de Strapelbrugge, il quale rivelò di aver appreso durante la propria iniziazione che Gesù non fosse un Dio, bensì un uomo.
Secondo le parole di un altro affiliato, John de Stoke, Jacques de Molay l'avrebbe istruito a considerare Gesù non altri che un uomo e a credere nel «Dio grande e onnipotente, architetto dei cieli e della terra, e non già nella crocifissione».
Queste sono esattamente le parole che ci si deve aspettare da un iniziato a un ordine nazareo in versione moderna, intriso dei messaggi della chiesa di Gerusalemme rinvenuti nei manoscritti custoditi sotto le macerie del tempio.
L'opinione attribuita a Jacques de Molay, è figlia legittima dei veri insegnamenti di Gesù, precedenti il culto della «crocifissione», partorito da Paolo e adottato dai romani; si tratta di un'opinione senz'altro attendibile, con la quale de Molay non intendeva affatto rinnegare Gesù, ma semplicemente rammentare alla gente l'esistenza di un solo Dio, di un solo essere supremo. Sembra sicuro che tali modi d'intendere provenissero in linea diretta dalla chiesa di Giacomo, dove le dottrine di Gesù erano tenute in profonda riverenza e dove la crocifissione era considerata niente di più che un potente simbolo di una «fedeltà dinanzi alla morte» pari a quella mostrata da Hiram Abif.
Per i Templari la croce era l'emblema del martirio, ben lungi dal significato magico che la religione della «crocifissione» creata da Paolo, voleva invece attribuirvi.

Sulla base delle informazioni acquisite durante le ricerche storiche, esistono validi motivi di credere che, se i cavalieri dell'alta nobiltà possono aver nutrito opinioni radicalmente atipiche sulla divinità di Gesù Cristo, l'Ordine Templare rimase, per tutto il corso della propria esistenza, fedele al cattolicesimo.
Le ricchezze, i possedimenti e il potere militare in mano ai Templari nella metà del XIII secolo, assommati alla lontananza da Roma, avrebbero consentito facilmente a costoro di fondare, se l'avessero voluto, un nuovo tipo di cristianesimo.
A quanto pare, però, essi erano soddisfatti dello status quo, di poter continuare a custodire per sé il proprio singolare sapere e a condurre le proprie cerimonie segrete ritenute, come nella massoneria, pratiche complementari alla fede cristiana.
I Templari furono traditi proprio da quella Chiesa e da quel Papa che così degnamente avevano servito.

Ma la storia dei Templari non si esaurisce qui. Molti Templari sono sopravvissuti e hanno continuato a custodire il loro sapere e i loro segreti, sotto altre vesti. Ma questa è un’altra storia.

 

Fonti:
- Il Santo Graal. Una catena di misteri lunga duemila anni - Michael Baigent, Richard Leigh, Henry Lincoln
- La chiave di Hiram. Dal tempio di Salomone ai rituali massonici: sulle tracce dei manoscritti segreti di Gesù - Christopher Knight, Robert Lomas

- I segreti della massoneria. L'ombra di Salomone - Laurence Gardner
- Il mistero del sacro Graal - Graham Hancock


 

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