L'esperto di malattie infettive Christian Garzoni avverte: «La vitamina D va assunta solo se prescritta dal medico»
LONDRA / LUGANO - La pandemia di coronavirus continua la propria corsa a livello mondiale, e con essa proseguono gli innumerevoli tentativi da parte della comunità scientifica di dare delle risposte alle domande della gente per quanto riguarda il Covid-19.
Uno studio pubblicato recentemente su Aging Clinical and Experimental Research dai ricercatori Petre Cristian Ilie, Simina Stefanescu e Lee Smith ha così tentato di studiare la correlazione tra il livello nel sangue medio di vitamina D di una determinata regione e la mortalità dovuta al nuovo coronavirus.
L'analisi ha preso in considerazione 20 Paesi europei. Tra questi, sono l'Italia e la Spagna ad avere livelli medi di vitamina D più bassi, ed entrambe hanno registrato alti tassi di mortalità dovuta al Covid-19. Secondo i ricercatori, questo è dovuto al fatto che le persone in questi Paesi evitano di più il sole (poiché troppo forte). Inoltre, la pigmentazione della loro pelle riduce la quantità naturale di vitamina D sintetizzata dal loro corpo.
Dall'analisi risulta esserci una significativa correlazione tra i livelli medi di vitamina D e il numero di casi, ma soprattutto decessi, dovuti al Covid-19. Smith, uno dei coautori dell'articolo, ha anche spiegato che il 75 per cento delle persone in istituti di cura e case di riposo ha gravi carenze di vitamina D, dato che si trova in quantità minori nelle persone più anziane.
La ricerca, come ammesso dagli autori stessi, ha determinati limiti: Il numero di casi, ad esempio, dipende molto anche dalla quantità di test eseguiti e dalle misure di restrizione adottate dai vari Paesi per prevenire la diffusione del virus. La mortalità dovrebbe essere invece un indice più credibile. Sono comunque necessari ulteriori approfondimenti per spiegare la supposta connessione tra la vitamina D e il coronavirus, e per determinare se la correlazione potrebbe essere anche una causalità.
Il Dottor Christian Garzoni - specialista in malattie infettive - da noi contattato, si è dichiarato scettico: «Il ruolo della vitamina D nella prevenzione e nella cura delle infezioni è discusso da tempo nell'ambito di diverse malattie infettive, non è una cosa nuova» ha spiegato il Direttore sanitario della Clinica Moncucco. «Ciò che è importante chiarire è che il tema è controverso. Questo perché non c'è una dimostrazione chiara e condivisa dell'effetto della vitamina D sul sistema immunitario e sul controllo di patologie infettive, ma solo delle ipotesi».
Per quanto riguarda lo studio, è imperativa la cautela: «Lo prenderei con le pinze. Questi ricercatori hanno solo visto che determinati Paesi che hanno un tasso di vitamina D piuttosto basso hanno anche una mortalità legata al Covid elevata. Ma questo non dimostra il nesso tra le due cose perché non sono stati presi in considerazione tutti i fattori che potrebbero giocare un ruolo decisivo nella mortalità da Covid». In sostanza, «serve approfondire la questione, per esempio guardando se le persone che hanno decorsi più benigni tendono ad avere un livello più alto di vitamina D».
In ogni caso, continua il Dottor Garzoni, «non va assolutamente seguita la deduzione che bisogna assumere ampie dosi di vitamina D per contrastare, curare o prevenire il virus». Anzi, bisogna fare molta attenzione: «La vitamina D va assunta in sostituzione unicamente se prescritta dal medico», ci spiega l'esperto, «può essere infatti tossica se assunta impropriamente o in dosaggi eccessivi».