Alla vigilia della "nuova" fase due italiana, l'epidemiologo Lopalco ha condiviso la sua analisi sui test sierologici
ROMA - L'Italia è pronta alla “nuova” fase 2. A due settimane dai primi allentamenti, da domani cadranno le limitazioni alle libertà personali, che permetteranno libertà di movimento a tutti (all’interno dei propri confini regionali, salvo motivazioni di lavoro o urgenza, fino al prossimo 2 giugno). La formula “magica”, più volte evocata in queste settimane, per gestire il momento è quella delle cosiddette tre “T” (tracciamento, trattamento e test). E sull’ultima di queste l’epidemiologo Luigi Lopalco ha invitato ad essere cauti.
«C'è stato il momento della richiesta popolare dei tamponi a tappeto. Ora è il momento della sierologia. La spinta popolare a fare il test sierologico è forte e, ovviamente, i furbacchioni hanno fiutato odore di business a lunga distanza», ha scritto Lopalco in un lungo post sulla sua pagina Facebook.
Sulla questione dei tamponi, l’epidemiologo non si perde in ampie perifrasi: «Spero la gente abbia capito che un tampone negativo alle ore 8:00 non esclude l'essere positivo alle ore 8:01». Per quanto concerne invece i test sierologici, Lopalco ne sottolinea l’utilità «come screening di popolazione per evidenziare la circolazione inapparente del virus». Il discorso immunità, con le relative garanzie, è però un altro.
«Gli anticorpi iniziano ad essere identificabili a partire dalla fine della seconda settimana dopo l'inizio dei sintomi, quindi più o meno alla fine della terza settimana da quando abbiamo contratto l'infezione. Questo significa che se io risulto oggi positivo agli anticorpi, comunque per due-tre settimane ho potuto contagiare allegramente chi mi stava vicino. Non serve dunque a identificare i portatori». Inoltre, prosegue Lopalco, esiste una «finestra temporale in cui sono presenti gli anticorpi, ma comunque anche il tampone è positivo».
In altre parole, i test sierologici - ricordando che i risultati dipendono anche dalla qualità del test stesso - non possono ugualmente fornire garanzie assolute di non contagiosità. «Purtroppo - conclude l’epidemiologo -, per verificare la presenza di anticorpi davvero protettivi bisogna fare un test assai complesso che richiede la verifica della neutralizzazione del virus su una coltura cellulare».