La sindrome infiammatoria ha colpito alcuni giovanissimi positivi al Covid. L'esperto: «Sintomi diversi»
GENOVA - La sindrome infiammatoria multisistemica osservata in alcuni bambini e legata al contagio da coronavirus potrebbe non essere la classica sindrome di Kawasaki, ma una malattia «più grave». A indicarlo è il professor Angelo Ravelli, direttore della Clinica di Reumatologia dell’ospedale Gaslini di Genova, in un'intervista rilascia a Open.
In alcuni casi «mancano delle caratteristiche della Kawasaki, oppure i pazienti manifestano dolori addominali, vomito, interessamenti del miocardio che non sono sintomatologie tipiche della Kawasaki», ha spiegato Ravelli.
Si tratta di variazioni che, sottolinea il pediatra, possono essere anche più gravi rispetto alla forma tipica della malattia. «Una grossa quota di bambini ha alcuni sintomi, magari non tutta la costellazione della sintomatologia che riconduce alla malattia di Kawasaki». Occorre quindi capire se «si tratta di condizioni dei pazienti diverse e che somigliano soltanto alla Kawasaki oppure questo virus, particolarmente aggressivo, induce forme più gravi di Kawasaki», modificando e «aggravando» i sintomi classici.
Ravelli fa notare però che sono state identificate differenze anche tra i diversi Paesi. A New York si sono registrati 160 casi in poco tempo. In Italia si stimano invece fra i 100 e i 150 casi, soprattutto nelle zone più colpite dall'epidemia. Fortunatamente la sindrome sembra avere una bassa mortalità. «È una malattia seria, ma per fortuna solo in rari casi causa la morte: dall’inizio dell’epidemia, in Italia non è deceduto nessuno. Ci sono stati tre decessi a New York e uno in Francia».