Sotto accusa i mercati in Oriente dove avvengono la vendita e la macellazione delle più svariate specie animali.
WHUAN - “Stop alla vendita degli animali vivi nei mercati alimentari”. La condanna dell’Organizzazione mondiale della salute ha rimesso sotto i riflettori l’annosa questione dei wet market. Veri e propri mercati, tipici soprattutto dell’Oriente, dove avviene l’esposizione, la vendita e la macellazione delle più svariate specie animali alla base delle abitudini e tradizioni alimentari locali. Il dibattito è aperto da oltre un anno, cioè da quando, teoria oramai accertata, il virus del Sar-COV2 si è trasmesso all’uomo proprio in uno di questi mercati di Whuan in Cina, laddove ha avuto inizio la pandemia che sta mettendo in ginocchio il mondo.
Dal pipistrello al cammello - Una questione che fino ad allora era stata sollevata solo dagli animalisti più incalliti ma che adesso è diventata di dominio pubblico soprattutto nel senso della sicurezza sanitaria. Nei wet market si vende di tutto: frutta, verdura, pesce, frutti di mare, carne da allevamento o preveniente da animali selvatici. Compresi appunto gli animali vivi o macellati all’istante. Animali delle specie più disparate come ad esempio maiali, polli, ma anche pipistrelli, pangolini, zibetti e cani sono qui esposti e costretti in spazi angusti. Lo dimostrava una foto diventata virale un anno fa, pubblicata da Muyi Xiao, del The New York Times, di un listino prezzi dove c’era di tutto: carne di cammello, come bistecche, zampe o gobbe (a sette euro al chilo), oppure alligatori (lingue o code, cinque e sei euro al chilo, rispettivamente) e anche tartarughe, volpi, marmotte, canguro e serpenti.
Un commercio miliardario - Intorno al commercio degli animali selvatici e ai wet market in Cina, ruota un mercato di settantaquattro miliardi di dollari, valore stimato nel 2017 dalla Chinese Academy of Engineering. Maria Longobardi, fisica e science writer, per Laboratoriaperti, ha svolto un dettagliato reportage sui wet market in Cina. L’incidenza di questi mercati alimentari è ancora superiore a quella dei supermercati tradizionali nelle scelte della gente così come la convinzione che la qualità dei cibi animali al dettaglio non refrigerati sia migliore di quelli da grande distribuzione. Un ricerca del 2018 riportava come a Nanchino il numero di wet market fosse ancora decisamente superiore (278) a quello dei supermercati (42). La Cina è solo la base o la punta dell’iceberg, a seconda di come la si voglia vedere la questione, del fenomeno wet market, diffuso in tutto il sud est asiatico: Vietnam, India su tutti ma lo stesso avviene anche in diversi mercati africani.
Un rischio globale - Doris Calegari, responsabile della protezione delle specie presso il WWF Svizzera, ha spiegato perché questi mercati rappresentano un rischio globale per la salute e perché andrebbero chiusi. «La stretta coesistenza tra l’uomo e gli animali di ogni specie, stressati, sfiniti e talvolta malati, offre le condizioni ideali per il proliferare di virus che spesso sono altamente mutabili». La stessa Calegari ha però dato uno spiraglio citando un sondaggio condotto da GlobeScan in Vietnam, Hong Kong, Myanmar, Thailandia e Giappone nel marzo 2020, che ha evidenziato che il 93% degli intervistati fosse a favore di eventuali misure dei rispettivi governi per chiudere i mercati di animali selvatici non regolamentati e illegali. Insomma qualcosa si sta smuovendo.
Oltre 200 malattie dall'animale all'uomo
L'Organizzazione mondiale della sanità registra oltre 200 zoonosi. Si tratta di malattie trasmissibili dagli animali all'uomo. Alcune sono patologie a noi ben note: peste, ebola, malaria, dengue o la borreliosi di Lyme, che può essere trasmessa dai morsi di zecca. Altri sono i virus tristemente noti di questo nuovo millennio. Tra il 2002 e il 2003, la SARS (sindrome respiratoria acuta grave) si diffuse dai wet market. Nel 2013, il virus dell'influenza aviaria si diffuse dal mercato degli uccelli vivi in Cina. E poi il Covid19 la cui trasmissione all'uomo attraverso gli animali selvatici è la teoria favorita dagli studiosi. Una selezione naturale in un animale ospite (come il pipistrello) prima del salto di specie nell’uomo appunto. La possibilità che il coronavirus sia sfuggito a un laboratorio, invece, è stata valutata come “estremamente improbabile”