Dall'entrata in vigore dell'obbligo, lo scorso 15 ottobre, le cifre sono decollate. Quella delle vaccinazioni molto meno
ROMA - Dallo scorso 15 ottobre, in Italia è obbligatorio disporre di un "green pass" valido - ottenuto mediante la vaccinazione, la guarigione o il responso negativo di un test anti-Covid - per recarsi sul posto di lavoro. Una misura voluta dal governo Draghi con l'obiettivo di allargare la fetta di popolazione immunizzata e con inevitabili, e previsti, riverberi di natura logistica e organizzativa. E non si parla solo di tamponi e vaccinazioni, ma anche di certificati medici.
Dopo una settimana le cifre aggiornate del monitoraggio da parte della Fondazione Gimbe mettono in luce alcune tendenze chiare. La prima è che, proprio come era nelle attese, l'introduzione dell'obbligo di certificazione ha innescato una letterale corsa al tampone. Nell'ultima settimana la richiesta per i test rapidi è aumentata di più del 78%, con oltre 2.1 milioni di test effettuati. La seconda è che le vaccinazioni hanno invece registrato uno slancio settimanale assai minore, quantificato al 4.7%.
Ma ce n'è un'altra, più curiosa, che si potrebbe descrivere come la "terza via": quella dei certificati medici per malattia. A darne notizia è il Corriere della Sera, che riporta un vero boom per i certificati presentati dai lavoratori, tanto nel settore pubblico quanto nel privato, a partire da venerdì scorso.
È «impossibile non pensare al green pass», chiosa il foglio italiano, indicando che il giorno stesso in cui l'obbligo è entrato in vigore, l'Istituto nazionale della previdenza sociale ha notificato l'arrivo di oltre 93mila certificati medici; 16mila in più rispetto al venerdì precedente. Nella giornata di lunedì ne sono stati invece conteggiati più di 152mila, ovvero il 14.6% in più di sette giorni prima.
Malattie fittizie? O forse un'improvvisa "sindrome da green pass"? Difficile stabilirlo per ogni singolo caso. I datori di lavoro possono chiedere infatti una mano ai medici incaricati dall'Inps per effettuare le verifiche e individuare i "furbetti del certificato", ma le forze disponibili sono nettamente sproporzionate rispetto alla mole di incarti da passare al setaccio. Un esempio? Prendiamo la Lombardia, che il 15 ottobre scorso ha messo a referto un incremento di certificati presentati del 21.5%: ci sono 38mila malati da una parte e solamente 24 medici dall'altra (in tutta Italia se ne contano complessivamente 311). E non serve ricorrere alla calcolatrice per rendersi conto che la sfida appare già persa in partenza.