Il colosso social prepara la svolta. Ne parliamo con Eleonora Benecchi, docente di Culture digitali dell'USI.
Oggi è in programma il Connect, durante il quale è atteso l'annuncio del nuovo nome dell'azienda. È «la possibilità di Facebook di trasferirsi in un mondo alternativo dove trasformarsi in qualcosa di nuovo, più appetibile e meno criticabile».
MENLO PARK / LUGANO - Dall'incarnare una rivoluzione generale per Internet, il metaverso annunciato da Facebook ha iniziato ad assumere le sembianze di un possibile "porto sicuro" in cui trovare riparo nel mezzo della bufera. Sì perché le acque di queste ultime settimane non sono state di certo le più tranquille per Mark Zuckerberg e compagnia, travolti da un'alta marea che ha lasciato ben poco di asciutto dalle parti di Menlo Park.
E non è da escludere che siano state proprio le avvisaglie di tempesta all'orizzonte, culminate in questi giorni con la comparsa dei cosiddetti "Facebook Papers", a spingere il colosso a spiegare le vele verso la rotta del metaverso, un concetto su cui Facebook - l'azienda - pare intenzionata a rimodellare la propria identità. A partire da un nuovo nome, che dovrebbe essere annunciato fra qualche ora, in occasione del Connect annuale. Metaverso non è una parola nuova, ma ora che a pronunciarla è stata la voce del gigante social le cose cambiano. E non di poco, come ci spiega la professoressa Eleonora Benecchi, docente di Social media management e Culture digitali all'Università della Svizzera italiana. «Il fatto che Facebook ne parli fa entrare questa parola nel linguaggio comune, la fa masticare e rimasticare anche a persone che non si interessano specificamente di tecnologia e che non amano le suggestioni fantascientifiche».
«Facebook non vuole più essere Facebook»
Il termine nasce una dozzina di anni prima di Facebook, nel romanzo Snow Crash di Neal Stephenson, del 1992. Nell’immaginario dell'opera è qualcosa di «pericoloso. Invece quando questa parola viene associata a Facebook si punta sulla dimensione del sogno, della creazione di una realtà migliore di quella che viviamo» e «non è certo un caso che Zuckerberg sogni una via di fuga per le sue applicazioni social, da Facebook a Instagram, oggetto di critiche sempre più dirette e sempre più complicate da gestire». Ed è in questa direzione che il metaverso, spiega Benecchi, «offre a Facebook la possibilità di trasferirsi in un mondo alternativo dove trasformarsi in qualcosa di nuovo, più appetibile e meno criticabile. Questa tensione verso un mondo nuovo dove reinventarsi e ripartire è tale che Zuckerberg ha collegato l’ingresso di Facebook in questa realtà con un cambio di nome. In sostanza, Facebook non vuole più essere Facebook». E il motivo, prosegue, «è ovvio. Il marchio, come quello di Instagram e altre app che l'azienda possiede è diventato sinonimo di violazioni della privacy, teorie della cospirazione, bullismo, insurrezioni e problematiche collegate alla salute mentale dei suoi utenti».
Un'idea "fluida" che non ha ancora una forma
Detto ciò, la visione del metaverso su cui Facebook si prepara a giocare il suo "all in" non dispone ancora, e non potrebbe essere altrimenti, di un perimetro chiaro. «La verità è che nessuno sa cosa sarà davvero, perché è qualcosa che è ancora molto lontano dall’esistere». Ma cosa sappiamo a oggi? «Sappiamo che si tratta di un mondo fatto di infinite comunità virtuali interconnesse dove le persone possono incontrarsi, usare i social media, lavorare, fare shopping, giocare o fare un viaggio». Ma «non è detto che questo metaverso sia completamente alternativo al mondo reale, ovvero una realtà virtuale in cui possiamo fare esperienza usando caschi e occhiali. Anzi, molti ne parlano come di uno strato digitale (o una serie di strati) che si andrà a spalmare sulla realtà fisica. Quindi una sorta di realtà aumentata di cui faremo esperienza tramite dispositivi come uno smartphone».
In parole più concrete, ci dice Benecchi, questa realtà virtuale «potrà indirizzarci a compiere attività nel mondo fisico, ad esempio per mangiare o fare esercizio». Viceversa, «i prodotti e gli eventi del mondo reale potranno guidarci verso ambienti virtuali». La chiave di lettura è pensare fuori da quelli che sono gli schemi attuali. «Stiamo assistendo alla costruzione del mondo mentre avviene. Le vecchie regole non si applicano». Qualche frammento che si avvicina a questa dimensione non è però già parte delle nostre routine, più o meno, quotidiane? In realtà sì, ci conferma l'esperta. È il caso di prodotti come Second Life, i concerti virtuali che Epic Games ha organizzato all'interno di Fortnite o la piattaforma virtuale di Roblox, uno spazio in cui i giocatori si intrattengono e, al contempo, producono e vendono contenuti digitali. Sono però «tutte realtà separate, con regole e obiettivi diversi, e diversi tassi di crescita. Il punto centrale è che questi sono solo possibili pezzi del metaverso che è invece da intendere come uno spazio unico, dove tutte queste possibilità convivono».
Le responsabilità e quell'inferno in cui non bisogna finire
La possibilità di una "liaison" più concreta tra ciò che è costituito da atomi e ciò che invece prende forma dal codice lascia intendere che quanto noi andremo a fare nel metaverso potrebbe avere ripercussioni più concrete sulla nostra realtà fisica. Per Benecchi però, il nodo non sarà solo nella responsabilità individuale ma piuttosto nella sicurezza in generale. «Idealmente, il metaverso è altamente personalizzabile e sarà separato o integrato nelle nostre realtà fisiche a seconda di quanto lo vogliamo o sia per noi necessario. Questo significa che l'esperienza può essere alterata individualmente così come modellata o controllata da un numero indefinito di soggetti, sia umani che tecnologici. Pensiamo in particolare all’intelligenza artificiale, che viene da molti indicata come l’elemento irrinunciabile. Prima questione: fino a che punto il soggetto individuale può spingersi nel metaverso? Dovremmo anticipare i modi in cui questo potrebbe essere usato in modo improprio».
Le falle nella sicurezza d'altronde non sono purtroppo una novità quando si parla di esperienza nella realtà virtuale. «È possibile ad esempio controllare il movimento di una persona senza il suo consenso, così come si può entrare in ambienti privati e spiare le persone a loro insaputa. L’uso improprio della tecnologia da parte di utenti singoli e non solo è già stato documentato in molti ambiti che si collegano all’idea di metaverso. Se non ci preoccupiamo di questioni come la responsabilità individuale e collettiva prima che sia costruito potremmo finire in un inferno dove i problemi legati alla disinformazione, all’abuso, al bullismo e all’hate speech, che osserviamo in ambienti tutto sommato delimitati come Facebook, si percepiranno e subiranno in modo molto più reale». E da questo punto, un breve passo ci porta a considerare la necessità di stabilire limiti e regole chiare. Ma «a chi spetta il ruolo di deciderle e controllarne il rispetto?». Un quesito che, proprio come una ciliegia, ne tira subito in ballo un altro. Ancora più tranchant: «Chi governerà il metaverso?».
Idealmente sono gli utenti, i creatori e i "residenti" in prima persona che, spiega Benecchi, «dovrebbero poter non solo partecipare in questo mondo ma anche plasmarne il futuro. È chiaro che per farlo devono avere la possibilità e il diritto di governarlo. Insieme al potere, arriva però la responsabilità. Come impedire che qualche individuo o soggetto prenda il sopravvento? Non dimentichiamo che il prefisso "meta" in greco si rifà a qualcosa al di sopra o al di là di qualcos'altro. E il senso di superiorità quando collegato al potere non ha portato a scrivere pagine felici nella storia dell’umanità».
La vera sfida? «La standardizzazione»
A doversi allineare non saranno però solamente le norme, ma - come già accennato - anche tutte le realtà che andranno a convivere in questo universo. «La vera sfida sarà la standardizzazione. Le aziende che stanno investendo devono ancora capire come collegare le rispettive piattaforme online. Affinché funzioni serve prima di tutto questo: aziende concorrenti che si accordino su una serie di standard». Questo perché, non bisogna dimenticarlo, il metaverso dovrà essere uno soltanto, «che ci aspettiamo abbia caratteristiche coerenti e in cui entreremo con un unico account e un unico portafoglio e dove, volendo, dobbiamo poter mantenere la nostra identità passando da uno spazio all’altro».
E cosa occorre per garantire un'infrastruttura di base di questo tipo? «Occorre un ente superiore, che è difficile da immaginare al momento». Una situazione quindi che è l'opposto di quella attuale, dove le redini delle nostre vite social sono nelle mani di pochissime aziende. «L'autentico metaverso - sottolinea Benecchi - dovrà essere uno spazio condiviso e collaborativo, sostenuto sì da una struttura ma che sia decentralizzata. Perché una realtà controllata da un’entità centralizzata e centralizzante non è il metaverso. È un videogioco o un social media».
Una realtà, un'identità e infinite "porte"
Ma se da un lato il "cosa" deve per forza unificarsi - una sola realtà, una sola identità -, dall'altro il "come" dovrà al contrario essere il più vasto possibile. «Non vedo la possibilità di un’adozione di massa del metaverso se per accedervi ci sarà bisogno di tecnologie troppo complesse o respingenti. La chiave di volta sarà rendere l’esperienza d'ingresso il più fluida possibile, anzi portare l’utente a dimenticare che sta usando una tecnologia per farlo». In altre parole, questa dimensione avrà le sue "porte" in ogni dispositivo informatico a nostra disposizione, a partire dagli smartphone, fino a quelli «che oggi neanche immaginiamo». E questo perché «non implica una realtà separata e completamente virtuale che è scollegata dal mondo fisico, o almeno non solo».
È questione di «aumentare la realtà, non di sostituirla». E se oggi siamo abituati a sfiorare una notifica sul display per visualizzare un post su Facebook, ci tocca fare invece ricorso a un pizzico di fantasia per immaginare come questa stessa azione avrà luogo nel metaverso. «Può darsi che passeremo molto tempo in spazi virtuali per cui scorrere la bacheca di Facebook o le storie su Instagram sarà magari sostituito da una passeggiata virtuale durante la quale controlleremo i social. Ma faremo anche altre attività. Ci immaginiamo però anche una tecnologia immersiva, che migliori la qualità della vita quotidiana sulla terra. Quella fisica».