I migranti verso una tragedia umanitaria: «Bevono acqua sporca, sono disidratati e non hanno niente da mangiare»
Non possono né avanzare, né tornare indietro, tra due fuochi di una disputa fuori dal loro controllo
BIAŁYSTOK - «Dormivo sotto un albero, dovevamo bere acqua dalle pozzanghere, e al mattino non potevamo berla perché diventava nera».
Quella di una donna siriana ad un reporter della Cnn è solo una delle tante testimonianze dei migranti che nelle ultime settimane si sono trovati intrappolati al confine tra Bielorussia e Polonia, tra i numerosi racconti angoscianti che illustrano la crisi umanitaria in corso.
«Sta diventando sempre più freddo e alcune persone rimangono nelle foreste per molte settimane, respinte da entrambi i lati. L'ipotermia, la mancanza di accesso all'acqua pulita e le intossicazioni alimentari sono un problema enorme. Le persone bevono acqua sporca, sono disidratate e non hanno niente da mangiare», ha dichiarato l'attivista dei diritti umani polacco Małgorzata Lojkowska ad Al Jazeera.
«Tornare indietro non è un'opzione»
Coloro che parlano, che raccontano, sono poi tra i pochi che ce l'hanno fatta ad entrare in Polonia. Come un siriano 37enne, che ha raggiunto un centro per rifugiati a Białystok, ma non dopo aver vissuto un'odissea, tra fame, freddo e percosse da parte degli agenti bielorussi.
Un'altra donna ha raccontato come l'esercito bielorusso abbia aiutato un gruppo a raggiungere il confine e tagliare la recinzione, ma solo per essere respinto dalla polizia. Dopo diversi tentativi falliti, alcuni avrebbero implorato le autorità bielorusse per un passaggio di ritorno verso l'aeroporto di Minsk, per tornare nei loro Paesi d'origine, ma senza successo.
Finora almeno 10 persone sono morte, soprattutto sul lato polacco, ma gli attivisti e la gente del posto temono che le foreste tra la Bielorussia e la Polonia riveleranno presto decine di corpi, di persone rimaste intrappolate al centro di una disputa geopolitica, che non ha lasciato loro alcuna via di scampo.
Un'area in cui è vietato entrare
All'inizio di settembre la Polonia ha introdotto uno stato di emergenza nella zona di confine con la Bielorussia. A tre chilometri dalla dogana, è vietato a chiunque avvicinarsi, compresi giornalisti e Organizzazioni non governative. Una sorta di coprifuoco perenne, con due Governi, quello polacco e quello bielorusso, riluttanti nel fornire il supporto umanitario urgentemente necessario a chi si trova tra i due fuochi.
Con migliaia di poliziotti e guardie di frontiera inviati al confine per assicurare che i migranti e i rifugiati senza documenti non possano entrare in Polonia, gli unici a poter aiutare i migranti sono quindi i residenti dei villaggi e delle cittadine situati vicino alla frontiera.
«Se vedo qualcuno di affamato, gli offro del cibo»
Il 48enne Mirosław Miniszewski è uno di loro. «Siamo qui in prima linea e ci siamo presi l'onere di fornire l'aiuto umanitario, sostituiamo le ONG e il personale medico perché nessuno può entrare nella zona», ha raccontato al portale Al Jazeera. «È semplice, non faccio domande, se vedo che qualcuno ha fame gli do del cibo, se vedo che qualcuno ha sete, gli do dell'acqua, se vedo che ha freddo, gli offro una coperta». Il possibile per tentare di prevenire un disastro umanitario.
Un disastro che, a detta della Polonia e dell'Unione europea, è stata orchestrata dal Presidente bielorusso Aleksander Lukashenko come vendetta, in risposta alle sanzioni inflitte da Bruxelles alla Bielorussia.
Il Governo di Minsk, però, continua a negare tutto, incolpa invece l'Occidente per «passaggi di frontiera troppo pericolosi» e per il crudele trattamento dei migranti. A rimetterci, però, sono coloro che si trovano nella morsa di un diverbio che non dà segni di dirigersi verso una fine.