L'idea di una copia di imprenditori in onore dei due figli più piccoli che hanno la sindrome di Down.
RALEIGH - Molto più di una tazza di caffè. È questo il motto di Bitty & Beau, una piccola catena americana di caffetterie che impiega più di 200 persone con disabilità intellettiva. La compagnia è nata nel 2016 a Wilmington nella Carolina del Nord, dal sogno di Amy e Ben Wright. La coppia ha fondato Bitty & Beauʼs Coffee in onore dei due figli più piccoli che hanno la sindrome di Down. Una sfida che oggi si è rivelata vincente, visto che Bitty & Beau continua a crescere, con la prossima importante apertura in programma a Washington. L’azienda, difatti, inaugurerà presto un punto vendita a Georgetown, storico quartiere della capitale. Le caffetterie Bitty & Beau sono al momento attive a Charleston, nella Carolina del Sud, a Savannah, in Georgia, e ad Annapolis, in Maryland. «Un movimento per i diritti umani travestito da caffetteria», così i fondatori amano definire Bitty & Beauʼs Coffee.
«Se ogni azienda si impegnasse semplicemente ad assumere una persona con disabilità, non solo la cultura aziendale cambierebbe in meglio, ma le persone con disabilità sul posto di lavoro inizierebbero a diventare la regola, non l'eccezione» ci ha spiegato la fondatrice Amy Wright. «Bitty & Beau's Coffee sta mostrando al mondo cosa è davvero possibile quando il business si innova intorno alle persone con disabilità. E adesso non vediamo l'ora di aprire le nostre porte anche nella capitale della nostra nazione», riferisce l’imprenditrice. Le caffetterie, gestite quasi interamente da persone con disabilità intellettiva, stanno effettivamente cambiando radicalmente il modo in cui la società percepisce i disabili ed il loro contributo alla comunità. Da Bitty & Beau, sottolineano i proprietari, la disabilità non è semplicemente accettata, piuttosto è celebrata. Intanto i progetti di espansione sono molto ambiziosi: l’obiettivo è quello di aprire cento punti vendita nei prossimi dieci anni. E le richieste di impiego al momento non mancano, anzi i Wright raccontano di essere letteralmente sommersi visto che tra le persone con disabilità intellettiva l’indice di disoccupazione arriva all’80%. D’altra parte, un punto fondamentale, nella visione degli imprenditori, è quello che riguarda i profitti. Disabilità non significa carità, puntualizzano; piuttosto è possibile gestire con successo e soddisfazione un'attività redditizia che impiega persone con disabilità.