La speaker della Camera Pelosi vuole visitare l'isola. Il presidente predica prudenza e teme la risposta della Cina.
La questione spinosa di Taiwan resta al centro delle preoccupazioni della Casa Bianca nella strategia di contenimento della potenza cinese.
WASHINGTON - Dopo la fuga precipitosa dall’Afghanistan durante l’estate del 2021, lo stallo della guerra in Ucraina e le difficoltà a ritrovare un ruolo di protagonista nel Medio Oriente, ora gli Stati Uniti si apprestano ad affrontare un ulteriore esame di maturità: l'autonomia di Taiwan. Sull’isola del Pacifico si gioca un’importante partita nello scontro tra titani con la Cina. All'inizio dell’invasione dell’Ucraina a febbraio, gli esperti avevano avvisato dell'interesse con cui Pechino guardava alla reazione americana dopo l'azione di Putin. La risposta di Washington a una chiara violazione della sovranità territoriale di un paese libero potrebbe determinare il futuro dell’autonomia dell’isola di Taiwan.
Un copione già visto molte volte. Non a caso Putin ha lanciato l'offensiva per “denazificare” le regioni separatiste del Donbass e del Donetsk proprio a febbraio del 2022. In un momento in cui l’amministrazione Biden si mostrava ancora debole, dopo la brutta figura collezionata al tempo della "fuga" da Kabul. Insomma, quando gli Stati Uniti si dimostrano poco efficaci in politica estera, qualcuno sembra essere sempre pronto per cogliere l’occasione.
L'autonomia dell'isola - Taiwan è un’isola nel Pacifico di 24 milioni di abitanti, rivendicata da tempo dalla Cina. Pechino considera l’isola un prolungamento della sua autorità territoriale. L'autonomia di Taiwan è al centro di molti dibattiti internazionali da anni. Gli Stati Uniti difendono l’indipendenza dell’isola e trovano un terreno di scontro con la Cina.
Il viaggio della discordia - Le difficoltà di Washington di difendere i paesi finiti sotto l'ala protettiva della Casa Bianca sono emersi in modo chiaro nel dibattito tra il presidente Joe Biden e la speaker della Camera Nancy Pelosi, in merito a una visita ufficiale a Taiwan di quest'ultima. Pelosi è decisa a recarsi sull’isola nelle prossime settimane, invece Biden predica calma e prudenza. Il dibattito è ormai di dominio pubblico, dopo che il presidente americano ha dichiarato in conferenza stampa che secondo i servizi segreti un viaggio adesso «sarebbe una pessima idea».
La reazione cinese - La risposta cinese non si è fatta attendere. La posizione di Pechino è sempre stata intransigente verso ogni interferenza di Washington sull’isola. Il governo cinese non ha usato giri di parole: «Una visita ufficiale sarà considerata una chiara provocazione da parte della Casa Bianca». La strategia cinese è quella di estendere l’isolamento dell’isola a ogni contatto con la comunità internazionale.
La paura di un intervento armato - A preoccupare Biden e l'intelligence americana sono le minacce di Pechino di un intervento militare, qualora si concretizzasse una visita ufficiale sull’isola. Minacce che non possono essere ignorate e che potrebbero portare allo sconvolgimento del fragile equilibrio della regione. La propaganda interna condotta dal regime comunista cinese contro la visita di Pelosi imporrebbe al governo di Pechino una risposta adeguata all’ingerenza americana.
Una questione spinosa - La stampa americana si chiede le ragioni per le quali Biden ha deciso di rendere pubblico il dibattito con la Pelosi. In questo modo sia la Speaker della Camera che lo stesso presidente americano si trovano tra l’incudine e il martello. Nel caso in cui Pelosi decida di rinunciare alla visita, affermano gli osservatori, all’estero questo verrà interpretato come un passo indietro dopo le pressioni di Pechino. Se invece Pelosi si recherà a Taiwan, oltre ai rischi della reazione cinese si registrerà un indebolimento dell'immagine del presidente. In previsione del voto di metà mandato, Biden potrebbe essere incappato in un ingenuo autogol.