L'Ong sostiene che la piattaforma social ha giocato un ruolo chiave nelle violenze dell’esercito nel Myanmar nel 2017.
LONDRA / NAYPYODAW - Uccisioni, torture, atrocità e sfollati, è quanto la minorità musulmana Rohingya ha dovuto sopportare nell’agosto del 2017, quando l’esercito del Myanmar è stato protagonista di un’ondata di violenza al limite della pulizia etnica. In tutta questa confusione, la piattaforma social Facebook sembra aver giocato di propagazione dell’odio. Questa è l’accusa di Amnesty International rivolta all'azienda Meta, proprietaria della piattaforma di condivisione. «Gli algoritmi utilizzati dal proprietario di Facebook, Meta, e la ricerca sconsiderata di profitti hanno contribuito in modo significativo alle atrocità perpetrate dall'esercito di Myanmar contro il popolo Rohingya», si legge nel comunicato diffuso questa mattina.
La cassa di risonanza - L’Ong in difesa dei diritti umani sostiene che prima dello scoppio delle atrocità, gli algoritmi di Facebook abbiano amplificato una tempesta di odio contro la minorità musulmana. «Mentre l'esercito del Myanmar commetteva crimini contro l'umanità contro i Rohingya, Meta traeva profitto dalla cassa di risonanza creata dai suoi algoritmi di propagazione dell'odio. Meta deve essere chiamata a rispondere per tutto questo. L'azienda ha ora la responsabilità di fornire un risarcimento a tutti coloro che hanno subito le violente conseguenze delle sue azioni sconsiderate», ha dichiarato Agnès Callamard, Segretaria Generale di Amnesty International.
Una minoranza musulmana - I Rohingya sono una minoranza etnica prevalentemente musulmana che vive nel nord dello Stato di Rakhine in Myanmar. Nell'agosto 2017, più di 700.000 Rohingya sono fuggiti da Rakhine quando le forze di sicurezza del Myanmar hanno lanciato una campagna mirata di omicidi diffusi e sistematici, stupri e incendi di case. La violenza ha fatto seguito a decenni di discriminazione, persecuzione e oppressione sponsorizzata dallo Stato contro i Rohingya, che sono da considerare apartheid.
Gli algoritmi di Facebook - L’accusa di Amnesty International si basa sui sistemi algoritmici della piattaforma social. Questi funzionano in base alla partecipazione degli utenti e dei diversi gruppi. Più tempo gli utenti rimangono connessi a Facebook e maggiori saranno i profitti della società, grazie alla vendita della pubblicità mirata. È provato che i commenti negativi carichi di odio alimentano maggiormente la partecipazione sulla piattaforma. Pertanto, la promozione e l'amplificazione di questo tipo di contenuti è fondamentale per il modello di business di Facebook basato sulla sorveglianza.
«Attori legati all'esercito del Myanmar e a gruppi nazionalisti buddisti radicali hanno inondato la piattaforma di contenuti anti-musulmani, pubblicando disinformazione, sostenendo che ci sarebbe stata un'imminente presa di potere da parte dei musulmani e ritraendo i Rohingya come invasori», si legge nel comunicato di Amnesty. L’immobilismo del colosso dei social media ha attirato le critiche di diverse organizzazioni non governative. «Amnesty International lancia oggi una nuova campagna che chiede a Meta Platforms, Inc. di soddisfare le richieste di riparazione dei Rohingya», conclude il comunicato stampa.