Lo scrittore si è espresso fuori dal tribunale dopo la decisione del giudice di aggiornare il procedimento
ROMA - «Ritengo singolare che uno scrittore sia processato per le parole che spende, per quanto dure esse siano, mentre individui inermi continuano a subire atroci violenze e continue menzogne». È un passaggio delle dichiarazioni lette dallo scrittore Roberto Saviano fuori dal tribunale di Roma al termine dell'udienza del processo che lo vede imputato per diffamazione ai danni dell'attuale premier italiana Giorgia Meloni.
L'autore di "Gomorra" ha letto quanto avrebbe voluto dire oggi in aula ma il giudice ha aggiornato il procedimento al 12 dicembre. «Io sono uno scrittore: il mio strumento è la parola. Cerco, con la parola, di persuadere, di convincere, di attivare. In fondo l'ha insegnato Omero stesso: il santuario della persuasione è nella parola, e il suo altare è nella natura degli uomini. La parola è ciò per cui io sono qui. L'accusa è quella di aver ecceduto il contenimento, il perimetro lecito, la linea sottilissima che demarca l'invettiva possibile da quella che qui viene chiamata diffamazione».
Riferendosi al dramma dei migranti, Saviano ha aggiunto: «Dinanzi ai morti, agli annegamenti, all'indifferenza, alla speculazione, dinanzi a quella madre che ha perso il bambino, io non potevo stare zitto. E sento di aver speso parole perfino troppo prudenti, di aver gridato indignazione perfino con parsimonia».
Per Saviano «si attaccano le Ong perché non si vogliono testimoni che raccontino questo scempio. Dinanzi a tutto questo, non c'è la volontà genuina di ragionare sulle quote di migranti da accogliere, sulla gestione dell'accoglienza, sugli investimenti. Non smetterò mai di stigmatizzare, di analizzare, di usare tutti i mezzi che la parola e la democrazia mi concedono per smentire questo scempio quotidiano».