Con i Mondiali sono tornati ad accendersi i riflettori sul virus MERS. L'infettivologo Christian Garzoni spiega perché non preoccuparsi
DOHA - «Micidiale». «Più letale del Covid». Alcuni giorni fa, con la fine dei mondiali in Qatar dietro l'angolo, sono spuntati come funghi articoli che parlavano di una possibile epidemia da MERS - o influenza del cammello -, in quanto si credeva che dei tifosi fossero stati contagiati visto che in concomitanza con le partite si stava svolgendo anche il festival nazionale di bellezza dei cammelli. Ne abbiamo parlato con il Dottor Christian Garzoni, specialista in malattie infettive, che ha sottolineato che il rischio «è al momento puramente teorico».
MERS è un Coronavirus e la sigla sta per sindrome respiratoria mediorientale. Similmente al Covid-19 ormai noto, i sintomi di questo virus identificato per la prima volta in Arabia Saudita nel 2012 sono febbre, tosse e respiro affaticato. Tra i pazienti è comune sviluppare una polmonite e in alcuni casi sono stati riscontrati sintomi a livello gastrointestinale.
Globalmente in dieci anni 6'500 persone sono state infettate dal virus e il 35% di queste, stando ai dati forniti dall'Organizazzione mondiale della Sanità, è deceduto. Ma, scrive sempre l'Oms, potrebbe trattarsi di una sovrastima, «poiché i casi lievi di MERS potrebbero non essere stati rilevati dai sistemi di sorveglianza esistenti».
Più dell'80% dei casi è stato riscontrato in Arabia Saudita e, a oggi, i focolai in altri Paesi sono stati pochissimi. La trasmissione tra umani è possibile, ma avviene solo in determinati contesti e mai in maniera prolungata e il contagio da dromedario a umano, stando a un commento pubblicato su TheLancet, «è raro».
Una possibilità remota - Nelle settimane che hanno preceduto i Mondiali e verso la fine della competizione, diversi media, anche particolarmente importanti, hanno parlato del virus Mers, scrivendo che nel Regno Unito era stato comunicato ai medici di «prepararsi». Ma non c'è traccia di questa informazione sui giornali locali né sul portale del National Health Service.
Come spiegato dall'infettivologo Christian Garzoni, «sicuramente è una malattia allarmante, che ci aveva fatto preoccupare quando si è cominciato a parlarne nel 2012. Ma fortunatamente è rimasta confinata in piccole zone con delle piccole epidemie in medio oriente». Con l'inizio dei Mondiali in Qatar, «abbiamo discusso della cosa, ma senza inutili allarmismi. Abbiamo guardato al tema come una possibilità remota».
Perché? «Lo spettatore medio dei Mondiali è spesso straniero, sta solo con stranieri, in un hotel di stranieri. Quando va allo stadio è mischiato a persone che vengono dalla stessa nazione. Difficilmente stringe contatti con persone locali. Poi tutto è possibile, ma dall'inizio dei Mondiali non è stato riportato nessun caso esportato».