Dai messaggi vocali con l'amica su WhatsApp al poster di Joker. Nel racconto su Matteo Messina Denaro le notizie trovano poco spazio
PALERMO - Un'altra domenica sera, un altro audio di Matteo Messina Denaro. Anche questo svelato nel corso della trasmissione "Non è l'Arena" su La7. Anche questo uscito dalla "corrispondenza" via WhatsApp che il boss intratteneva con la solita amica, quella con cui condivideva il difficile percorso della chemioterapia alla clinica "La Maddalena" di Palermo. Anche questo - perdonate l'eccesso anaforico - che poco, per non dire nulla, rivela di quel patrimonio di informazioni detenuto dal padrino trapanese. E di quei "buchi neri" di cui lui custodisce le chiavi.
È importante non fraintendere. I primi messaggi vocali, tutti provenienti da quelle medesime chat, avevano un valore intrinseco, che andava oltre al loro contenuto. Svelavano, al contempo, la voce del fantasma e la vita apparentemente normale che il mafioso più ricercato d'Italia conduceva in quel di Campobello di Mazara, nel cuore del suo feudo. Un quadro surreale; difficilmente ipotizzabile, considerata la meticolosità con cui, per quasi tre decenni, il boss aveva gestito la sua latitanza. Al punto che, come ha ricordato di recente l'ex magistrato Roberto Scarpinato, i suoi stessi uomini «pensavano che fosse morto».
Messina Denaro, da quasi due mesi ormai, è confinato in regime di 41-bis - quello che viene comunemente detto "carcere duro" - presso il penitenziario de L'Aquila. Due mesi in cui attorno al boss si è creata una narrazione che ha messo in secondo piano quello che è stato il suo ruolo - in prima fila - nelle stragi mafiose del periodo '92-'93, scegliendo invece di posizionare a favore di camera il personaggio e la sua vanità, così poco "corleonese". Dimenticando il contorno. Una pagina dopo l'altra. Un telegiornale dopo l'altro. «Gossip e chiacchiere» ha scritto qualche settimana fa Attilio Bolzoni su Domani. «Una messa in scena smodata e fastidiosa», con «tanto fumo» e «notizie che non sono notizie». In poco più di un mese, scriveva, «l'hanno fatto divenire la Gina Lollobrigida del mondo mafioso contemporaneo»; ricordando il soprannome con cui, all'interno di Cosa nostra, veniva chiamato Giuseppe Genco Russo; il presunto (ai tempi) capo dei capi, in cima alla cupola, negli anni Sessanta.
Le notizie vere, tornando al presente, sono invece poche. Tra queste svetta l'arresto la settimana scorsa della sorella del boss, Rosalia, accusata di associazione mafiosa. A lei viene imputata la gestione della cassa di famiglia e della rete di comunicazioni, a base di "pizzini"; le architravi della latitanza del fratello. Così come la decisione di non comparire, sempre la scorsa settimana, all'udienza sul processo per le stragi di Caltanissetta. Per fare luce in quei famosi buchi neri si deve passare da questo. Più arduo sembra invece poterlo fare con le calamite del Padrino affisse sul frigorifero, i poster di Joker, le sue "analisi geopolitiche" su Putin e l'Ucraina e le interviste all'ex professoressa della figlia del boss.