Stando ai documenti top-secret del Pentagono, il governo di Aleksandar Vučić avrebbe fornito armi all'Ucraina
BELGRADO - Dall'inizio della guerra in Ucraina, la Serbia si è sempre dichiarata neutrale. Storico alleato della Russia, è l'unico Paese europeo che si è rifiutato d'imporre sanzioni nei confronti di Mosca.
Ma stando ai documenti top-secret trapelati dai server del Pentagono e pubblicati sui social-media nelle ultime settimane, il governo del presidente Aleksandar Vučić avrebbe inviato dei missili terra-terra (Grad 122mm) a Kiev nel novembre del 2022. Lo riporta Reuters.
Nei documenti, la Serbia è inserita in una lista di Paesi che si rifiutano di addestrare i militi ucraini, ma che «forniscono o che forniranno armi letali all'Ucraina». Inoltre, la Serbia fa parte di quei Paesi che possiedono la necessaria volontà politica e capacità militare per fornire assistenza a Kiev, anche in futuro.
L'agenzia di stampa Reuters ha fatto sapere di non essere riuscita a confermare l'autenticità dei documenti in suo possesso. «Se i documenti dovessero rivelarsi autentici, metterebbero a nudo il doppio-gioco del presidente Vučić, oppure il fatto che sta subendo grandi pressioni da parte di Washington affinché fornisca armi all'Ucraina», ha dichiarato l'esperto di politica estera della Jamestown Foundation, Janusz Bugajski.
La risposta di Belgrado - Il ministro della Difesa serbo Miloš Vučević ha smentito le informazioni contenute nei documenti del Pentagono, giudicandole delle «falsità» messe in circolazione per «destabilizzare il nostro Paese e coinvolgerlo in un conflitto al quale non intendiamo partecipare».
Il ministro ha inoltre specificato che la Serbia vende armi a Paesi terzi, i quali sono in grado di esportare armi verso l'Ucraina: «Si tratta di Paesi che non rispettano le norme internazionali e le clausole contrattuali», alludendo al fatto che se le armi in questione sono apparse nelle zone del conflitto, non è per colpa del governo di Belgrado.
Già il mese scorso, la portavoce del ministro degli Esteri russo Marija Zacharova aveva chiesto alla Serbia di rispondere alle accuse di "doppio-giochismo" che circolavano per i corridoi del Cremlino. La risposta non si era fatta attendere: il presidente Vučić le aveva definite «calunnie».