A pochissimi giorni dal rilascio delle acque reflue della centrale nucleare di Fukushima, restano i dubbi di diversi Paesi
TOKYO - Il rilascio delle acque di Fukushima continua a dividere. Da un lato, ci sono quelli che si oppongono fermamente alla decisione, altri che la approvano, ma solo in parte, e altri ancora che sin dalla nascita del piano appoggiano il governo giapponese.
Come annunciato nella mattinata martedì, il liquido di raffreddamento delle rovine nucleari dell'impianto Fukushima Dai-chi verrà riversato in mare a partire da questo giovedì - previa diluizione perché la concentrazione di trizio non superi i 1'500 becquerel al litro.
Nonostante l'Agenzia internazionale per l'energia atomica Aiea - che ha condotto uno studio della durata di due anni - ritiene che non sussista alcun pericolo dovuto alla radioattività delle acque per l'ambiente, la modalità di smaltimento continua a essere giudicata dubbia, ma anche a far paura.
Ne sono un esempio i pescatori. In particolare quelli giapponesi che già in gennaio lamentavano la possibilità di perdere nuovamente la fiducia nei consumatori, dopo che per anni avevano faticato a ristabilirla a causa del disastro del 2011. O ancora la comunità del mare filippina. La Federazione nazionale dei piccoli pescatori delle isole di Manila, Pamalakaya, ha infatti dichiarato al Philstar che il «governo giapponese dovrebbe considerare il crescente dissenso dei Paesi vicini perché l'oceano più grande e profondo del mondo venga protetto dai rifiuti radioattivi tossici». «Il rilascio delle acque reflue potrebbe avere un impatto sulle nostre risorse, in un momento che coincide con l'arrivo del monsone Amihan».
«Prove scientifiche ignorate» - A opporsi c'è anche Greenpeace, che da anni mena battaglia contro l'approvazione del governo all'avvio dei lavori da parte della Tokyo Electric Power Company. «Questa decisione ignora le prove scientifiche, viola i diritti umani delle comunità giapponesi e della regione del Pacifico e, inoltre, non è conforme al diritto marittimo internazionale».
Nel suo comunicato, l'Ong si sofferma quindi sul «fallimento della tecnologia Alps» a causa del quale «circa il 70% di questa acque dovrà essere nuovamente trattato». Secondo la comunità scientifica, si legge ancora, «i rischi radiologici derivanti dello smaltimento» non sarebbero stati completamente valutati e «l'impatto biologico di trizio, carbonio-14, stronzio-90 e iodio-129 è stato ignorato».
Greenpeace critica quindi l'Aeia, affermando che non avrebbe indagato sufficientemente il funzionamento dell'Advanced Liquid Processing System (Alps), «ha completamente ignorato i detriti di combustibile altamente radioattivo che si sono sciolti e che continuano ogni giorno a contaminare le falde acquifere. (...) L'Aiea non ha il compito di proteggere l'ambiente marino globale, ma non dovrebbe incoraggiare uno Stato a violarlo».
Da parte sua, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica ha dichiarato che intende continuare a monitorare la situazione anche durante lo smaltimento delle acque e che i dati raccolti verranno messi a disposizione in tempo reale alla comunità globale. «Il nostro rapporto ha concluso che la modalità di scarico è coerente con gli standard di sicurezza internazionali» e prevede che «l'impatto radiologico sarà trascurabile sulle persone e sull'ambiente».
Una dichiarazione, questa, con cui Cina, Russia e Hong Kong non si dicono d'accordo. Già all'inizio di luglio Pechino aveva annunciato uno stop all'import di derrate alimentari da dieci prefetture giapponesi e insieme a Mosca aveva, circa un mese fa, sottoposto al governo nipponico un documento propositivo perché le acque reflue venissero smaltite sfruttando l'evaporazione. Il Giappone aveva, al tempo, dichiarato che una proposta di questo tipo fosse «impossibile» da accettare, secondo il Japan Times.
Sempre la Cina ha convocato l'ambasciatore giapponese a Pechino Hideo Tarumi per sottolineare nuovamente le sue rimostranze e nella speranza che Tokyo «corregga» il tiro.
Il governatore di Hong Kong, John Lee, venuto a conoscenza della decisione per il 24 agosto, ha invece ordinato perché alcuni prodotti provenienti dal Giappone vengano «immediatamente» bloccati. Infine, la Corea del Sud - che in un primo momento si era dichiarata completamente contraria al piano di Tokyo - ha invece dichiarato, stando a Reuters, che «non ci sono problemi scientifici o tecnici» legati all'operazione. Ma che «il nostro governo non è necessariamente d'accordo né supporta il piano». Sempre in quest'ultimo Paese sono scoppiate varie proteste, con la popolazione che si oppone alla decisione di Tokyo.