La donna, scappata dall'Arabia Saudita potrebbe essere costretta da un tribunale a tornare nel regno.
RIAD - Un'attivista americana, fuggita dall'Arabia Saudita nel 2019 con sua figlia di otto anni, rischia di essere costretta da un tribunale statunitense a tornare nel regno, dove se tornasse con la minore la donna «correrebbe un serio rischio di punizioni corporali, lunga reclusione e pena di morte» nella battaglia per la custodia con il padre saudita. Lo segnalano fonti di Human Rights Watch (Hrw), citate dal Guardian.
Bethany Alhaidari di 36 anni, dovrà affrontare un'udienza in tribunale il 24 ottobre che determinerà la sua vita futura con la figlia Zaina. Il caso è venuto alla ribalta mentre la difficile situazione relativa all'affido a un'altra madre americana è in un vicolo cieco: quella di Carly Morris, originaria della California, tornata negli Stati Uniti nelle scorse settimane dopo essere stata tenuta prigioniera nel regno saudita dal suo ex marito per anni. Ma è stata costretta a lasciare la figlia di otto anni, Tala, a seguito della controversia sulla sua custodia.
I casi delle due cittadine americane sono emblematici di come le leggi dell'Arabia Saudita trattino le donne e gli stranieri nelle lotte per la custodia dei figli, nel Paese dove i padri sono i tutori predestinati. Anche quando alle donne divorziate viene concessa la custodia del minore, il padre saudita del bambino è ancora considerato il tutore legale, con autorità su tutte le decisioni importanti.
Per Alhaidari, l'imminente data del tribunale di ottobre potrebbe significare un disastro a meno che il tribunale non prenda la decisione straordinaria di consentire a lei e alla figlia di restare a casa nello stato di Washington. L'attivista, che ha criticato apertamente il governo saudita sin dal suo ritorno, ha descritto la terribile fuga dal regno in seguito al suo presunto matrimonio violento con un cittadino saudita nel 2013. Il divorzio è stato seguito da anni di lotte per la custodia, che hanno visto l'intervento dal consolato americano, finché un giudice non si è pronunciata nel 2019 negandole la custodia.
Alla fine, Alhaidari ha escogitato un piano per lasciare l'Arabia Saudita, che prevedeva scusarsi con il suo ex e fingere di essere di nuovo innamorata di lui. La finta relazione, ha detto la donna al Guardian, è durata mesi finché non è riuscita a riconquistare la sua fiducia e ottenere il suo permesso di lasciare il regno saudita con sua figlia per un viaggio di ritorno negli Stati Uniti. Una volta arrivata, Alhaidari ha presentato istanza di giurisdizione di emergenza nello stato di Washington. Poiché gli Stati Uniti applicano ordini di custodia stranieri - con eccezioni se ci sono gravi questioni relative ai diritti umani nei casi di custodia - è toccato ai tribunali statunitensi determinare se Alhaidari e sua figlia potevano restare. Dopo aver sostenuto che le leggi saudite sulla custodia e sulla tutela maschile violavano i suoi diritti umani, un tribunale di grado inferiore si è pronunciato a favore di Alhaidari.
Ma la decisione è stata impugnata dall'ex marito. La discussione in aula si svolgerà il 24 ottobre davanti a una giuria d'appello composta da tre giudici a Wenatchee, Washington. Ma in circostanze particolarmente avverse per l'attivista, a causa della sua esplicita difesa a favore delle persone che sono state detenute nel regno. È stata accusata di diversi "crimini", tra cui le critiche al regno e all'Islam, che comportano entrambi il rischio di punizioni tra cui la fustigazione e la lapidazione.