Ripulire interi villaggi dalle mine antiuomo lasciate dai miliziani dell'Isis: questa la missione di un'Ong svizzera che opera in Iraq.
La Fondation suisse de déminage ingaggia e istruisce solo personale locale. Amal Ahmed, giovane donna irachena, ci ha raccontato la sua esperienza.
BERNA - Ogni passo può essere l’ultimo. La terra che si sbriciola sotto i piedi prima di venire inghiottita da una bocca di fuoco. Un’imprudenza che può costare un braccio, una gamba o addirittura la stessa vita. Lo sa bene Amal Ahmed, giovane donne irachena di 26 anni che lavora presso l’Ong svizzera Fondation suisse de déminage (FSD). Grazie al lavoro della fondazione decine di villaggi in Iraq sono stati "ripuliti" dalle mine antiuomo lasciate dall'Isis dopo la ritirata del 2017. «La gente ha paura ad uscire di casa, a raccogliere l'acqua al pozzo e a correre in un prato», ci ha raccontato.
La rinascita di un villaggio
Ancora dopo anni dalla sconfitta del Califfato, ogni giorno i sogni di ragazzi e bambini vengono spezzati dalle fiamme di quegli ordigni infernali. Amal si è occupata, assieme a un team di 8 persone (un team leader, tre sminatori, un meccanico, due operatori e un medico), dello sminamento del villaggio di Khalidiya, una città nella provincia di Al-Anbar, nell'Iraq centrale. «È un lavoro duro, ma è anche molto gratificante. Vedere le persone che possono finalmente uscire e camminare per i campi senza paura non ha prezzo». Un lavoro che ha riportato la vita in un intero villaggio dopo che "l'eredità" dell'Isis aveva limitato la libertà di circolazione degli abitanti distruggendo l'economia locale.
L'eredità infernale dell'Isis
L’incubo delle mine antiuomo accompagna da anni le guerre contemporanee. Il conflitto in Ucraina ne è la più recente testimonianza. Prati interi disseminati di ordigni esplosivi usati per rallentare e ostacolare l’avanzata del nemico. La Svizzera, assieme ad altri 160 Stati, ha aderito alla Convenzione di Ottawa firmata a dicembre del 1997, che vieta l’utilizzo e la produzione delle mine antiuomo. Il trattato internazionale, non riconosciuto da tutti i Paesi (compresi Usa e Russia), ha limitato, senza però cancellare, l’effetto distruttivo di questi ordigni.
L’Ong con base a Ginevra ha trovato in Iraq una situazione drammatica al limite della perversione umana. I miliziani dell'Isis, prima di lasciare i villaggi, hanno nascosto mine antiuomo tra i mobili delle abitazioni, le televisioni, nei campi agricoli e nei frigoriferi. Per consentire ai residenti di tornare a casa, coltivare la terra e poter mandare i figli a scuola in sicurezza, l'FSD sta lavorando per decontaminare tutti i villaggi. Come? Assumendo e formando solo personale locale.
Distrutte oltre 20'000 mine antiuomo
Dal 2016, quando ancora alcuni villaggi erano occupati dallo Stato Islamico, sono state distrutte oltre 20'000 mine artigianali e altri ordigni esplosivi. È stata messa in sicurezza un'area equivalente a più di 3'000 campi da calcio.
«Sono cresciuta in un villaggio non tanto differente da quello che abbiamo "ripulito"», ci ha confessato Amal. «So cosa significa vivere con la paura delle mine. Ho sempre desiderato fare qualcosa per evitare tutta questa violenza. Così ho deciso di unirmi alla fondazione». Dopo un addestramento di alcune settimane, ripulire i villaggi dalle mine dell'Isis è diventata la sua ragione di vita. «L’aspetto umanitario di questo lavoro mi ha convito e mi ha permesso di superare le possibili paure. Volevo dare il mio contributo e aiutare le persone».
«Non ho mai avuto paura»
I rischi e i pericoli, malgrado l'attrezzatura, sono sempre dietro l'angolo. La maggior parte delle mine sono di fabbricazione artigianale. Una caratteristica che le rende molto più imprevedibili. Non esiste infatti un singolo modo per disinnescare l'esplosivo, ma ogni mina necessita un lavoro particolare.
Eppure «non ho mai avuto paura», ci racconta con fierezza Amal. «Grazie all'addestramento che abbiamo ricevuto non ho mai avuto paura che potesse succedere qualcosa. Seguendo in modo rigoroso le indicazioni di chi sa già fare il lavoro, i rischi sono molto limitati». Il lavoro della fondazione non si limita però allo sminamento. I collaboratori si impegnano a sensibilizzare la popolazione sui pericoli e assicurano l'ospedalizzazione delle vittime in caso di incidenti.
Più forte della tradizione
Per Amal, far parte del team della FSD, non è stato per niente facile. «Ho dovuto combattere con l'opposizione della mia famiglia. Inizialmente non volevano che intraprendessi questo percorso». Amal è cresciuta in una famiglia tradizionale, il lavoro di sminatore è sempre stato interpretato come una professione puramente maschile. «Non è stato evidente, ma devo dire che i miei genitori mi hanno sempre sostenuto».
Sotto il caldo cocente, con temperature che sfiorano oltre 50 gradi per una buona parte dell'anno, il team di Amal procede ogni mattina seguendo uno schema collaudato. «La giornata iniziava con un briefing mattutino. Il team leader ci spiegava quale area saremo andate a ripulire. Una volta deciso come procedere, ci dividiamo i compiti e ognuno si prepara per la sua missione. È un lavoro di squadra». Dopo un’attenta valutazione della zona, Amal procede metro per metro.
Un'azione che richiede tempo e pazienza. «La più grande soddisfazione? Il fatto che nessuno si sia fatto male durante l'operazione. Non ci sono stati incidenti per fortuna».