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ITALIANel caso Yara si è andati "oltre ogni ragionevole dubbio"?

18.07.24 - 21:00
La docuserie Netflix pone una serie d'interrogativi sull'inchiesta per l'omicidio della 13enne bergamasca e divide l'opinione pubblica
NETFLIX
Massimo Bossetti intervistato in carcere per "Il caso Yara".
Massimo Bossetti intervistato in carcere per "Il caso Yara".
Nel caso Yara si è andati "oltre ogni ragionevole dubbio"?
La docuserie Netflix pone una serie d'interrogativi sull'inchiesta per l'omicidio della 13enne bergamasca e divide l'opinione pubblica

ROMA - A cavallo tra il 2020 e il 2021 "SanPa - Luci e tenebre di San Patrignano", miniserie Netflix in cinque episodi, divenne un vero e proprio caso. Oggi sta accadendo qualcosa di simile con "Il caso Yara - Oltre ogni ragionevole dubbio", pubblicata sulla stessa piattaforma martedì 16 luglio.

Lo scopo degli autori - Il team produttivo è lo stesso di "SanPa" e lo scopo, come ha dichiarato a Fanpage il regista e produttore Gianluca Neri (che ha scritto la serie con Carlo G. Gabardini ed Elena Grillone), «non era di rifare il processo ma di raccontare una cosa che noi come società ci siamo dati come regola, che però non rispettiamo mai, cioè avere la certezza assoluta prima di mandare in galera qualcuno». Il lavoro di raccolta del materiale legato all'omicidio della 13enne bergamasca, avvenuto il 26 novembre 2010, è durato anni e Neri assicura che «siamo stati molto attenti a rispettare tutte le parti, rispettiamo la memoria di Yara. Abbiamo fatto in modo che questo documentario non arrivasse come una valanga sulle vite delle persone coinvolte». Il dibattito, però, si è acceso, specialmente sui social.

Il seme del dubbio - Si sono già formate due tifoserie, innocentisti vs. colpevolisti. Era piuttosto inevitabile, dati i contenuti della serie. L'intervista a Massimo Bossetti dal carcere è indubbiamente uno dei punti di forza de "Il caso Yara", che ripercorrendo la vicenda si sofferma sui punti fermi dell'inchiesta - il Dna di Bossetti sul corpo della vittima, l'assenza di alibi - ma lascia cadere nella mente dello spettatore un piccolo seme: si è andati davvero "oltre ogni ragionevole dubbio"? Non è un'operazione di verità alternativa, come quella fatta in un altro celebre caso di cronaca, ma chiaramente ci si avvicina alle tesi della difesa. S’invita lo spettatore a soffermarsi su alcuni elementi che, durante le indagini, non sono stati presi in considerazione o sono finiti sotto la lente degli investigatori in modo solo marginale. Ci sono in particolare due persone, la maestra di ginnastica e il custode della palestra di Brembate. Mai finiti nel registro degli indagati e ascoltati solo come testimoni, sottolineano gli autori.

Sbatti (sempre) il mostro in prima pagina - Nella serie ci si sofferma inoltre su come la pressione dell'opinione pubblica potrebbe aver forzato la mano agli inquirenti. Il caso del video del furgone di Bossetti è solo l'aspetto più eclatante di quella che gli autori lasciano intendere come "la costruzione del mostro". Compiuta dagli investigatori ma influenzata dalla morbosità dei professionisti dell'informazione, che una volta di più ne escono molto male - in quello che appare come un'incessante caccia allo scoop e al sensazionalismo.

Due famiglie segnate - Ma "Il caso Yara" è anche la storia di due famiglie: la prima, quella Gambirasio, che ha subito la tremenda perdita della figlia e, come se non bastasse, è stata inghiottita in un vero e proprio tritacarne mediatico. Ed è in questo accomunata alla famiglia di Bossetti, che arriva a scoprire proprio in seguito all'inchiesta che lui e i fratelli non sono figli biologici dell'uomo che li ha cresciuti. Lo stesso Massimo è arrivato a dubitare di ciò che la madre gli ha sempre raccontato.

Ognuno decida per sé - Ecco, il dubbio. Questo è l'elemento fondante della docuserie. Neri ha la sua opinione: «Bossetti non è colpevole oltre ogni dubbio». Ogni spettatore viene invitato a coltivarlo, questo dubbio, analizzando tutti gli elementi offerti. Così da trarre da sé le proprie conclusioni.

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