L'attacco dell'Iran a Israele dato quasi per imminente sembra "congelato", tra strategie militari e pressing diplomatico
TEL AVIV/TEHERAN - La dura risposta militare promessa dall'Iran a Israele come rappresaglia alla violazione del proprio territorio compiuta per eliminare l'ex capo politico di Hamas sembra farsi attendere.
Nello spazio aereo israeliano i temuti droni di Khamenei per ora non sembrano apparire all'orizzonte, anche se a fare preoccupare i vertici militari di Tel Aviv potrebbero essere i 150 mila razzi in dotazione di Hezbollah (fonte Washington Post) che potrebbero bucare la famosa cupola difensiva dell'esercito israeliano.
Mentre a Tel Aviv regna un'attesa sinistra e la paura resta sospesa nell'aria, fra istruzioni date alla popolazione in caso di attacco e bunker pronti a mettere al sicuro la popolazione (il più grande in città è in grado di ospitare fino a 1'600 persone), il Primo Ministro Benjamin Netanyahu si è recato questa mattina in visita alla base di Tel Hashomer, per ricordare la sua vicinanza alle reclute del Corpo corazzato e del Corpo di ingegneria da combattimento dell'IDF, ma anche per lanciare il suo richiamo alla compostezza e a mantenere i nervi ben saldi.
Netanyahu al popolo israeliano: «Rimanete calmi e composti» - «Stiamo proseguendo verso la vittoria - ha dichiarato dalla base militare - so che i cittadini israeliani sono in allerta e vi chiedo una cosa, rimanete calmi e composti. Siamo preparati sia per la difesa che per l'attacco, stiamo colpendo i nostri nemici e siamo anche determinati a difenderci», ha detto alle truppe, secondo quanto riportato dal The Times of Israel.
L'attacco apparentemente congelato e la pressione diplomatica americana - Sempre rimanendo sul campo delle notizie che rimbalzano dalle colonne dei quotidiani circa lo scacchiere di guerra in atto tra Israele e Iran e le mosse che anche i più acuti analisti stentano a prevedere, è anche il Washington Post a dispiegare le proprie tesi per motivare ciò che starebbe accadendo in questa sorta di attacco "sospeso" o apparentemente "congelato", e la cui ibernazione - stando a quanto scritto dallo stesso giornale - si dovrebbe alla forte pressione diplomatica americana in atto.
Il Segretario di Stato americano Antony Blinken - incontrando il ministro degli Esteri israeliano Penny Wong - ha ricordato che «è urgente che tutti nella regione facciano il punto della situazione, comprendano il rischio di errori di calcolo e prendano decisioni che calmino le tensioni, non le esacerbino» e ha confermato che «siamo stati impegnati in un'intensa attività diplomatica con alleati e partner, comunicando questo messaggio direttamente all'Iran oltre che a Israele».
Una mediazione a doppio binario quella di Blinken: da una parte l'appello a ripensare l'azione contro Israele, dall'altra sottintendendo che la Casa Bianca non starà certo a guardare in caso di massiccio attacco al suo alleato.
La chiave di svolta della diplomazia per uno stop all'attacco: il dettaglio della bomba nella stanza di Haniyeh - Ma l'apparente stand-by dell'operazione militare iraniana, potrebbe essere attribuibile all'emergere dei nuovi dettagli che hanno portato alla morte di Haniyeh, secondo i quali l'alto vertice di Hamas sarebbe stato ucciso da un ordigno posizionato all'interno della stanza dove alloggiava e fatto esplodere a distanza.
Sembra che questo elemento, sui tavoli della diplomazia - e soprattutto su quello del leader Khamenei - stia giocando un ruolo non secondario nella difficile trattativa per evitare un'escalation del conflitto in quell'area del Medio Oriente, escalation che lo stesso Blinken non ha esitato a definire «una guerra totale».
Del resto il disappunto e l'irritazione dell'amministrazione Biden per la doppia sortita militare israeliana che ha dato la morte prima al comandante militare di Hezbollah Fuad Shukr e poi all'ex capo politico di Hamas Haniyeh, non è certo un mistero e non sembrano essersi per nulla stemperati i malumori nelle stanze della Casa Bianca.
Alcuni funzionari della Casa Bianca al Washington Post: «Teheran potrebbe recedere dalla sua minaccia di attaccare Israele». Dove, nonostante si continui a considerare alto il rischio di un attacco iraniano, sembra regni un velato ottimismo sulla riuscita dell'opera di mediazione in corso.
Alcuni funzionari avrebbero confermato al Washington Post che «Teheran potrebbe recedere dalla sua minaccia di attaccare Israele».
Questo però, mentre il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, illustrava nei giorni scorsi diverse misure militari statunitensi per aiutare a difendere Israele da possibili attacchi da parte dell'Iran, fra cui «il dispiegamento di ulteriori jet da combattimento».
Insomma, una partita ancora tutta da giocare dove non è ancora chiaro se a prevalere sarà l'opzione militare o quella della diplomazia.