Kemi Badenoch, ex ministra dell'industria figlia di genitori nigeriani è definita esponente destrorsa pro Brexit e anti-woke
LONDRA - Un volto nuovo destinato a far girare un'altra pagina di storia a un Regno Unito sempre più multietnico, ma anche una scelta che guarda decisamente a destra nello scenario politico interno e internazionale: il Partito conservatore britannico ha da oggi sulla tolda di comando la 44enne Kemi Badenoch, ex ministra dell'industria figlia di genitori nigeriani ed esponente destrorsa pro Brexit e anti-woke, eletta leader al posto di Rishi Sunak dopo la batosta alle urne del 4 luglio.
Badenoch è la quarta portabandiera donna ad aggiudicarsi la leadership Tory dopo Margaret Thatcher, Theresa May e l'effimera Liz Truss, ma la prima aspirante premier di pelle nera e di sangue africano mai espressa da qualunque forza politica di peso nella storia di un paese che fu impero.
Ha superato nel ballottaggio finale sancito dal voto di 132'000 iscritti il 42enne super falco anti-immigrazione Robert Jenrick, un ex moderato convertitosi in tribuno populista sul singolo dossier della stretta ai confini.
E ora ha dinanzi a sé il compito non facile di ricostruire il consenso verso un partito bastonato dagli elettori 4 mesi fa, dopo 14 anni al potere, e costretto (almeno per ora) a riunirsi attorno a lei, con la benedizione a parole entusiasta di vari predecessori - da Sunak a Boris Johnson - e con l'impegno d'imbarcare nel suo governo ombra in «un ruolo chiave» anche lo stesso Jenrick, se accetterà.
La leader neoeletta, all'anagrafe Olukemi Olufunto Adegoke, ha mascherato l'emozione dietro un tono piano nel suo breve discorso di accettazione, inaugurato dalla sfilza di messaggi di ringraziamento di rito: il primo dei quali rivolto al marito Hamish Badenoch, banchiere alla City, con cui ha tre figli di 12, 8 e 5 anni. Ha quindi definito «un enorme onore poter servire il partito che amo e che mi ha dato tanto».
Fra i suoi obiettivi ha indicato quello di fare opposizione dura chiamando il governo laburista di Keir Starmer «a rispondere» dei propri atti; ma anche quello di «prepararsi nei prossimi anni per tornare al governo con un piano» credibile sul futuro del paese: piano che - nelle sue parole - Starmer, già in affanno nei sondaggi e alle prese con i contraccolpi di una prima finanziaria record sul fronte delle tasse, «sta scoprendo troppo tardi di non avere».
Il primo ministro, dal canto suo, non ha potuto esimersi dal sottolineare l'importanza storica per il Regno della sua ascesa a capo dell'opposizione: atto dovuto da parte dal vertice di un partito come il Labour, paladino delle diversità, ma che non ha mai avuto finora una guida femminile eletta, né leader partoriti da una minoranza.
Dallo staff del premier non si sono fatti attendere peraltro i primi siluri politici alla rivale che da mercoledì affronterà sir Keir in Parlamento. Rivale liquidata come reduce di governi che hanno contribuito a dare al paese «14 anni di declino e di caos», senza «imparare la lezione».
E che tuttavia potrebbe spiazzare il progressismo moderato di Starmer - maschio, bianco, ultrasessantenne e non troppo carismatico - con un'agenda aggressiva, all'occorrenza politicamente scorretta, filtrata da un'immagine personale indiscutibilmente più innovativa.
Nata a Wimbledon da una coppia di medici originari della Nigeria, cresciuta a Lagos e poi negli USA, prima di tornare in Inghilterra a 16 anni per completare gli studi e laurearsi sia in ingegneria elettronica (all'University of Sussex), sia in legge (alla Birkbeck, University of London), Kemi viene del resto descritta da chi la conosce come combattiva e spiritosa, quanto abrasiva e a volte provocatoria fino alla gaffe nella sua retorica politica.
Fatte tutte le debite differenze, appare affine ad alcuni cavalli di battaglia di Trump, al quale ha manifestato ad esempio ammirazione per la criticatissima improvvisata recente dietro un bancone di McDonald's. Mentre in relazione alla campagna elettorale americana, non ha mancato di contestare le presunte interferenze pro Kamala Harris imputate al Labour dal candidato repubblicano.
Ma a caratterizzarne la figura sono soprattutto il sostegno della prima ora alla Brexit, il richiamo a un neoliberismo modello Thatcher 2.0, l'adesione alle crociate ideologiche contro la "cancel culture" o per un'opposizione "femminista" alla "teoria del gender".
Punti di riferimento di una donna nera che non crede alle quote pro minoranze e prende le distanze dal movimento Black Lives Matter. O che ancora, sul colonialismo, non esita a ridimensionare come «semplicistica la narrativa di chi esagera l'importanza del traffico di schiavi e dell'imperialismo nello sviluppo» storico ed economico d'una patria britannica di cui si sente «orgogliosa».