La fine del regime in Siria smuove gli equilibri della regione. Sorridono Turchia e Israele mentre Iran e Russia si leccano le ferite
DAMASCO - In quella polveriera che è il Medio Oriente, la caduta del regime di Bashar al-Assad - rapidissimo domenica scorsa, quando l'aria per lui si era ormai fatta irrespirabile, a fare le valigie e mettere tutta la famiglia su un volo con destinazione Mosca - in Siria ha inevitabilmente assestato uno scossone a quel "Risiko" regionale che, per natura, è fatto di equilibri precari.
La presa di Damasco, ora nelle mani dei cosiddetti ribelli - guidati dal gruppo jihadista Hay'at Tahrir al-Sham, largamente considerato come un'organizzazione terrorista -, cambia infatti il quadro entro i confini della stessa Siria, ma non solo. Vale quindi la pena chiedersi: chi sono i vincitori - gli altri, si intende - in questo nuovo scenario? E chi, invece, ha rimediato una sconfitta?
Il primo nome da inserire nel primo gruppo non può che essere quello della Turchia. Per Recep Tayyip Erdogan, quanto culminato nei fatti di domenica scorsa costituisce una vittoria su tutta la linea. Un vittoria a lungo inseguita. Il Sultano è un grande azionista dei ribelli siriani sin dal 2011, anno in cui è scoppiata la guerra civile, e ora potrà passare alla cassa e mettere le mani su almeno un paio di obiettivi strategici di peso; su tutti, la creazione di un "cuscinetto" al confine per respingere i curdi. E poi ci sarà tutto l'affaire legato alla ricostruzione della Siria a ostilità cessate, in cui Ankara avrà di certo un ruolo di primo piano.
Gli altri attori regionali che potranno beneficiare di almeno una fetta della torta sono poi Israele e l'Arabia Saudita. Il premier israeliano si è preso parte del merito, a giusta ragione, per aver contribuito a quella reazione a catena che ha portato alla caduta del regime di Assad. In particolare in virtù dell'azione militare che le forze israeliane hanno condotto contro Hezbollah in Libano e che aveva già lasciato i lividi anche in quel di Teheran. Lividi che non potranno che aumentare, con grande gioia, appunto, di Israele. E in prospettiva sorride anche Riad che potrebbe ora ampliare la propria influenza nella regione.
Tra i perdenti diretti invece, lo abbiamo già indicato, c'è in primis l'Iran. Che fresco dell'altra batosta indiretta rimediata in Libano, si trova ora privato di quell'arteria di terra che era vitale per garantire i rifornimenti ai suoi proxy; su tutti proprio il cosiddetto Partito di Dio. Il che rende proprio Hezbollah un'altra consistente voce nell'elenco di chi ha perso. E poi c'è la Russia, che ha garantito asilo politico al rais fuggiasco dopo aver tentato ripetutamente, fino all'estate scorsa, di spingerlo a una riconciliazione con il fu amico turco. Nulla di fatto. Lo scenario, se concretizzato, avrebbe portato in dote a Mosca un importante vantaggio strategico in termini di sicurezza - preservando le basi navali di Latakia e Tartus - e, non da ultimo, avrebbe altresì spalancato nuove possibilità di scambi commerciali di fronte all'Orso, che però - troppo impegnato nello sforzo in Ucraina - non ha potuto prestare i suoi artigli al regime di Assad per resistere all'ultimo, fatale, assalto.