Il mandato del presidente degli Stati Uniti giunge al termine. Un bilancio.
WASHINGTON - Cosa rimane della "legacy" di Joe Biden? Se lo chiede il portale di politica e geo-politica statunitense "Foreign Policy", che in un lungo articolo di approfondimento passa in rassegna i cosiddetti «errori» del presidente uscente, rifiutando la tesi secondo cui il primo cittadino avrebbe «aumentato il potere degli Stati Uniti sotto ogni aspetto», come da lui stesso affermato durante una conferenza stampa tenutasi ieri (lunedì) al Dipartimento di Stato americano. «Grazie alla nostra amministrazione, gli Stati Uniti stanno vincendo la competizione mondiale», ha sottolineato Biden di fronte alle telecamere, aggiungendo che «gli avversari e i rivali degli Stati Uniti sono ora più deboli».
Dichiarazioni che, secondo il giornalista di "Foreign Policy" Michael Hirsch, non starebbero né in cielo né in terra. E questo per una serie di ragioni ben specifiche.
Il caos in Afghanistan - In un precedente articolo avevamo parlato del malcontento della classe politico-militare statunitense in merito al caos dell'evacuazione delle truppe americane stazionate in Afghanistan nel 2021.
Secondo Hirsch - e il giornalista non è l'unico a pensarla in questo modo - il presidente Biden avrebbe sottovalutato la propensione dei Talibani ad accaparrarsi il potere, cosa che si è verificata a sole due settimane dopo la partenza delle truppe statunitensi.
In quell'occasione, i fragili equilibri di potere si dissolsero nell'arco di giorni, facendo cadere il Paese nelle mani di una leadership spietata, in particolare nei confronti delle donne.
Hirsch si spinge tanto lontano da affermare che la frettolosa e caotica partenza - e la perdita di prestigio e potere simbolico che ne derivò per l'amministrazione Biden - convinse addirittura la Russia di Vladimir Putin a invadere l'Ucraina, sfruttando la debolezza di cui aveva fatto prova il Paese a stelle e strisce in Afghanistan.
Guerra in Ucraina - E proprio a riguardo del sostegno economico e militare all'Ucraina, le politiche di Biden sarebbero state fin troppo «confuse e altalenanti» per poter fornire alla Russia la necessaria fiducia nel "poliziotto del mondo" per sedersi al tavolo delle trattative.
Relazioni con la Cina - Le critiche non si fermano neanche sul dossier "Taiwan", su cui il presidente uscente avrebbe «infiammato» le relazioni con Cina, dichiarando in più occasioni che il suo Paese avrebbe concesso un pieno sostegno militare all'Isola ribelle se Pechino avesse invaso. Molte di queste dichiarazioni, sottolinea Hirsch, erano state frettolosamente ritirate dai responsabili comunicazione della Casa Bianca per evitare di causare ulteriori frizioni con il dragone asiatico.
Guerra in Medio Oriente - La più recente crisi in Medio Oriente, con l'infuriare della guerra a Gaza, in Libano e Siria, con Israele che continua a bombardare indiscriminatamente le aree urbane, è forse il simbolo più lampante del fallimento della politica estera di Biden, che non è riuscito a instaurare un cessate il fuoco duraturo.
Il presidente uscente è stato criticato per non aver mai interrotto le forniture di armi a Israele, che secondo Hirsch, avrebbero potuto, almeno in parte, tenere Netanyahu a bada.