L'attivista anti-castrista: «Sono completamente sicuro di esser stato drogato con il cibo».
L'AVANA - Dodici anni «nel peggior isolamento», patendo «fame, colpi e infezioni». Sono le condizioni in carcere che racconta di aver vissuto a Cuba José Daniel Ferrer García, storico dissidente rilasciato ieri dalle autorità dell'isola insieme ad altri prigionieri dopo un accordo con gli Usa e la mediazione del Vaticano.
Un periodo di «torture» di cui l'attivista anti-castrista parla in un'intervista concessa al giornale spagnolo El Mundo. «Sono completamente sicuro di esser stato drogato con il cibo. Soffrivo di mal di testa fortissimi, avevo allucinazioni, sentivo come se le pareti della mia cella mi schiacciassero», aggiunge.
Ferrer afferma di esser stato sorpreso dalle modalità con cui gli è stato comunicato il rilascio. «Un ufficiale mi ha detto che due giudici e dieci militari volevano vedermi per descrivermi le condizioni di libertà condizionale decise dal governo. Non le ho accettate», spiega, aggiungendo poi di esser stato condotto all'uscita nonostante lui fosse restio a lasciare la prigione, non convinto che si trattasse di un vero rilascio. «Non ero disposto ad accettare nuovi ordini».
Ferrer ora assicura di voler continuare la sua lotta in favore «di libertà, democrazia e diritti umani». E di avere sensazioni contrastanti sul patto che ha portato alla sua liberazione. «Dal punto di vista umanitario mi rallegra, non tanto per me stesso, quanto perché altri prigionieri politici possano superare una situazione così difficile, anche se esigo la liberazione tutti», spiega.
«Ma allo stesso tempo sento imbarazzo per come l'amministrazione Biden e il Vaticano hanno gestito questo accordo. Dai termini del comunicato pubblicato dal regime sembrerebbe che siano stati sconfitti in tre round, e che la libertà di 553 prigionieri sia stata regalata così, per caso. Se Biden e il Vaticano non smentiscono questo, farebbero il gioco di un criminale simile a Pablo Escobar», aggiunge.