Joseph Kabila, quindi, incassato il via libera dei suoi colleghi dell'area, ha ribadito la sua condizione senza la cui accettazione non si siederà al tavolo della trattativa. Una presa di posizione che giunge appena poche ore dopo che l'M23, attraverso il suo capo politico, Jean-Marie Runiga, aveva parlato di contatti telefonici tra lui e Kabila, lasciando aperta la strada dell'ottimismo, sia pure condizionato. Poche ore sono bastate al governo di Kinshasa dapprima per negare qualsiasi contatto diretto con i ribelli e, poi, per ribadire le sue condizioni, riportando indietro il possibile momento della composizione della guerra che, pur se non appariva certo vicina, era vista come possibile.
Ora la pressione diplomatica è tutta sulle spalle dei ribelli che si trovano di fatto politicamente accerchiati e che possono contare solo sull'appoggio del Ruanda, che però ora deve fare i conti con le accuse da parte dell'Onu che, quanto meno, non le rendono agevole fiancheggiare l'M23. Il presidente ruandese, Paul Kagame, continua a respingere ogni accusa, ma la verità è che la maggior parte dei ribelli dell'M23 sono tutsi, cioè l'etnia al potere a Kigali. E si sa bene come, in Africa, più che la politica a dettare alleanze e rivalità è spesso l'appartenenza etnica, quando non addirittura soltanto tribale.