Il documento dei periti: non solo corrosione. Carenze nei controlli e nella manutenzione
GENOVA - Oltre alla corrosione, a determinare il crollo del Ponte Morandi di Genova sono stati anche «i controlli e le manutenzioni che se fossero stati eseguiti correttamente, con elevata probabilità avrebbero impedito il verificarsi dell'evento». Lo scrivono i periti del giudice per le indagini preliminari (gip) nella relazione sulle cause del crollo del ponte ligure.
Il documento, di circa 500 pagine, è stato redatto nell'ambito del secondo incidente probatorio, quello che deve stabilire le cause del crollo avvenuto il 14 agosto 2018, causando la morte di 43 persone. La procura aveva formulato 40 quesiti a cui i super esperti hanno risposto.
«La mancanza - proseguono - e/o l'inadeguatezza dei controlli e delle conseguenti azioni correttive costituiscono gli anelli deboli del sistema; se essi, laddove mancanti, fossero stati eseguiti e, laddove eseguiti, lo fossero stati correttamente, avrebbero interrotto la catena causale e l'evento non si sarebbe verificato».
Altre cause, secondo i periti del gip sono le «carenze progettuali», le «mancanze di specifiche tecniche adeguate sulle guaine dei cavi e sulle modalità di iniezione», «difetti costruttivi in fase di realizzazione», «carenze di controlli in fase di costruzione da parte della direzione dei lavori e della commissione di collaudo» scrivono i periti.
E, ancora, gli esperti hanno riscontrato una «mancata esecuzione di indagini specifiche necessarie per verificare lo stato dei trefoli dei gruppi primari così come raccomandato dal 1985» e «assenza di interventi di restauro e riparazione che avrebbero dovuto essere eseguiti nel tempo per riparare il tirante difettoso».
Il tirante della pila 9 - «Non sono stati individuati fattori indipendenti dallo stato di manutenzione e conservazione del ponte che possano avere concorso a determinare il crollo, come confermato dalle evidenze visive emerse dall'analisi del filmato Ferrometal», scrivono i periti del gip.
La causa scatenante del crollo del ponte Morandi «è il fenomeno di corrosione a cui è stata soggetta la parte superiore del tirante Sud- lato Genova della pila 9», sostengono i periti del gip Angela Nutini.
«Tale processo di corrosione - proseguono i periti - è cominciato sin dai primi anni di vita del ponte ed è progredito senza arrestarsi fino al momento del crollo determinando una inaccettabile riduzione dell'area della sezione resistente dei trefoli che costituivano l'anima dei tiranti, elementi essenziali per la stabilità dell'opera».
Dal 1993, data dell'ultimo intervento di manutenzione, «non sono stati eseguiti interventi che potessero arrestare il processo di degrado in atto e/o di riparazione dei difetti presenti nelle estremità dei tiranti che, sulla sommità del tirante Sud-lato Genova della pila 9 erano particolarmente gravi», si legge nel documento. «Il tirante Sud-lato Genova della pila 9 ha mostrato un'evidente e gravissima forma di corrosione nella zona di attacco con l'antenna. La corrosione dei cavi primari ha avuto luogo in zone di cavità e mancata iniezione formatesi nella costruzione del ponte».
Indicazioni ignorate - «Sono state trascurate negli anni le indicazioni dello stesso ingegner Morandi con particolare riferimento al degrado degli acciai» dei tiranti, sottolineano i periti del gip nella relazione sulle cause del crollo del ponte.
«Il progettista aveva posto attenzione al rischio di corrosione dei cavi. Tali raccomandazioni erano particolarmente importanti e rilevanti tenuto conto della straordinarietà dell'opera. Inoltre, dalle prime verifiche, a breve distanza temporale dall'inaugurazione, sia tecnici del gestore sia lo stesso Morandi avevano evidenziato un già diffuso stato di ammaloramento e proposto modifiche di intervento».