L'eventuale stop spetta alla politica e potrebbe essere deciso nelle prossime ore
ROMA - Il 15 febbraio è la data lungamente attesa dagli operatori del comparto della montagna e dagli amanti dello sci in Italia: è il giorno previsto per la riapertura degli impianti di risalita e delle piste in Lombardia e Piemonte. Due giorni dopo dovrebbe toccare al Veneto, poi a Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia.
L'ammonimento del Cts - Eppure il via libera, arrivato nelle scorse settimane, potrebbe essere revocato alla luce delle «mutate condizioni epidemiologiche» dovute «alla diffusa circolazione delle varianti virali» del virus. È l'allarme lanciato dal Comitato tecnico scientifico italiano (Cts): «Allo stato attuale non appaiono sussistenti le condizioni per ulteriori rilasci delle misure contenitive attuali, incluse quelle previste per il settore sciistico amatoriale». Gli scienziati, che da un anno monitorano l'andamento della pandemia e suggeriscono le azioni da prendere per ridurne al minimo gli impatti sulla salute pubblica, hanno risposto così alla richiesta del ministro della Salute Roberto Speranza di «rivalutare la sussistenza dei presupposti per la riapertura» degli impianti.
La nuova valutazione - Il cambio di rotta nasce dai risultati di uno studio sulla diffusione delle varianti del coronavirus in Italia, realizzato dall’Istituto superiore di sanità, dal ministero della Salute e della Fondazione Bruno Kessler. Le mutazioni sono state identificate nella stragrande maggioranza delle 16 Regioni prese in considerazione. La raccomandazione è di «intervenire al fine di contenere e rallentare la diffusione, rafforzando e innalzando le misure in tutto il Paese e modulandole ulteriormente laddove più elevata è la circolazione, inibendo in ogni caso ulteriori rilasci delle attuali misure in atto».
Il professor Walter Ricciardi, consulente del ministro Speranza e che ritiene che la situazione sia tale da richiedere un lockdown totale per l'intera Italia, è ancora più esplicito. Gli assembramenti «non sono compatibili con il contrasto alla pandemia da Covid-19 in Italia e gli impianti da sci non andrebbero riaperti. Non dimentichiamo che la variante inglese è giunta in Europa proprio ‘passando’ dagli impianti di risalita in Svizzera». La paura è quella di rivedere le scene già viste sulle Alpi svizzere, con lunghissime file di sciatori davanti alle casse o fuori dagli impianti.
La parola al governo - L'indicazione è chiara, ma ora tocca al neonato governo Draghi. Il Cts ha infatti affidato al «decisore politico la valutazione relativa all’adozione di eventuali misure più rigorose». Già il Trentino, che aveva segnato sul calendario la data di mercoledì 17, si è visto negare l'ok con il ritorno in zona arancione. Lo stesso vale per Abruzzo, Liguria e Toscana.
Gli operatori in Valtellina: «Non siamo burattini»
Sono pronti per riaprire gli impianti da sci a partire da domani con una capienza del 30%, come prevede l'ordinanza firmata dal presidente della Lombardia Attilio Fontana lo scorso 10 febbraio. Ora, però, gli operatori di Valtellina e Valchiavenna hanno preso come una doccia fredda il freno del Comitato tecnico scientifico.
«Abbiamo raccolto, in via elettronica, migliaia di prenotazioni da tutta la Lombardia - spiegano dalla società impianti di Aprica - per la ripartenza, organizzata in tutta sicurezza con rigidi protocolli per evitare qualsiasi rischio di assembramenti. Le piste sono in perfette condizioni per l'ottimo innevamento».
«Siamo in ginocchio - sottolinea Mariangela Bozzi dell'omonimo hotel di Aprica - per una stagione invernale mai partita. E gli hotel, in queste ore, stanno già ricevendo numerose disdette dei brevi soggiorni programmati in coincidenza anche con la festa di San Valentino».
«Non è possibile venire a sapere alla domenica pomeriggio che per il lunedì mattina è tutto cambiato - aggiunge Michela Calvi dell'hotel Stelvio di Bormio -. Non se ne può più con la politica dell'apri chiudi, apri chiudi. Ci sentiamo presi in giro. Noi imprenditori del turismo non siamo burattini. Siamo allo stremo delle forze e tanti rischiano il fallimento delle loro aziende».
«Non si può arrivare all'ultimo momento con decisioni penalizzanti del genere - prosegue Calvi -. E tutte le spese che abbiamo sostenuto per garantire la sicurezza delle strutture, a cosa sono servite? Speriamo che con il nuovo governo Draghi si cambi con questo andazzo».
La preoccupazione è palpabile anche tra chi gestisce gli impianti di risalita. «Un nuovo rinvio - sottolinea Giuseppe Bonseri degli impianti di risalita di Valfurva - equivale all'ennesima presa in giro e alla definitiva chiusura della stagione, in realtà mai partita. I danni all'economia provinciale sono incalcolabili».
«Noi ristoratori abbiamo pagato un prezzo altissimo a questi ripetuti rinvii - avverte lo chef Massimiliano Tusetti, titolare dello storico ristorante 'Al Filo' di Bormio -. Se le piste da sci non aprono non arrivano gli sciatori e, di conseguenza, anche i clienti nei nostri locali si vedono con il contagocce. Soffre anche il commercio locale. Tanti colleghi in crisi sono chiusi e fra questi c'è chi rischia di non riaprire anche in luoghi importanti di villeggiatura come Bormio».