Il capo della polizia di Minneapolis inchioda l'ex agente nel corso del processo per la morte di George Floyd
MINNEAPOLIS - L'ex agente Derek Chauvin «si sarebbe dovuto fermare». Avrebbe dovuto cessare di premere col suo ginocchio sul collo di George Floyd, soprattutto quando questi terminò di opporre resistenza e manifestò di essere in grande difficoltà ripetendo più volte "I can't breathe", non posso respirare.
Nel settimo giorno del processo più seguito negli Usa negli ultimi anni, a inchiodare alle sue responsabilità l'imputato è il capo della polizia di Minneapolis, Medaria Arradondo. Fu lui a licenziare il poliziotto bianco che il 5 maggio del 2020 segnò il destino del 46enne afroamericano divenuto il simbolo del movimento Black Lives Matter. «Chauvin ha violato tutte le regole e le procedure del nostro dipartimento sull'uso della forza e sull'obbligo di offrire aiuto a chi ne ha bisogno», ha sentenziato Arradondo. Parole che pesano come pietre sull'ex poliziotto oramai definitivamente scaricato dai suoi ex colleghi e superiori.
Chauvin impassibile
Lui, giacca e cravatta, ascolta con un'espressione impassibile, senza tradire un'emozione. Del resto non ha avuto nessun cedimento nemmeno nei primi giorni del dibattimento, quando per ore e ore sono andate in scena le terribili immagini di quanto accaduto, con testimoni e spettatori in lacrime.
Seduto accanto al suo legale, Chauvin riempie pagine e pagine di appunti, e non si scompone nemmeno davanti al racconto del medico che per 30 minuti tentò invano di salvare Big Floyd quando prima di pronunciarlo morto in ospedale. Per il dottor Bradford Langelfeld non c'è dubbio: il 46enne afroamericano è deceduto per mancanza di ossigeno. A conferma dei primi referti del medico legale che citavano tra le cause del decesso proprio l'asfissia e la deficienza di ossigeno legate alla pressione di quel ginocchio che per oltre nove minuti finì per strozzare il respiro della vittima. Il medico testimone ritiene quindi improbabile che l'asfissia sia sopraggiunta per l'uso di stupefacenti, come cerca di sostenere la difesa che ha in mano un rapporto tossicologico da cui emerge come nel corpo di Floyd siano state trovate tracce di metamfetamine e di fentanyl, un potente analgesico oppioide.
Incertezza, infine, sulla possibile testimonianza di Morries Lester Hall, l'amico di Floyd che nel momento in cui arrivarono il poliziotto era in automobile con Floyd seduto sul lato passeggero. L'uomo, che sconta una pena in carcere per vicende non collegate alla morte di Floyd, si è appellato al diritto di non rispondere per timore di peggiorare la sua situazione.