Si è tenuto a Miami e ha visto sul banco degli imputati un informatico australiano 46enne che sostiene di averli creati
MIAMI - È stato uno dei primi a “minare” i Bitcoin - lui addirittura sostiene di essere il primissimo - e ne ha ammassati una fortuna: 1,1 milioni per un valore (stando alle quote di lunedì) stimato di circa 50 miliardi di dollari. Di questo incredibile e-tesoretto la famiglia di un suo ex-socio, defunto, ne voleva la metà. Ma la corte ha dato ragione a lui.
La storia del processo a Craig Wright, informatico australiano di 46 anni e sedicente creatore dei Bitcoin, ha catalizzato l'attenzione del fisco e della scena cripto mondiale ma anche della stampa tout court. I motivi sono almeno due, ovvero l'esorbitante quantità di soldi in ballo e la faccenda legata alle origini (assolutamente misteriose) della più importante delle valute digitali.
Tornando al processo: la famiglia dell'ex-socio e amico di Wright, David Kleiman, deceduto nel 2013 cercava di ottenere metà di quegli 1.1 milioni di Bitcoin affermando che Kleiman era stato co-creatore dell'e-conio. Alla fine la corte ha però deciso in favore di Wright concedendo ai famigliari dell'informatico defunto “solo” 100 milioni di dollari di diritti d'autore.
Una vittoria netta, considerando cosa c'era in ballo, dopo un processo complicato ed estremamente tecnico. Come riportato dal Guardian i giurati - anche durante le consultazioni interne - hanno più volte fatto domande su come funzionano le criptovalute. Dopo un'impasse è stato necessario l'intervento del giudice.
Tornando alla "paternità" del Bitcoin, Wright ha affermato nel 2016 di essere lui Satoshi Nakamoto - il nome, o pseudonimo, dell'inventore della moneta virtuale - che nel 2008, in piena crisi economica, aveva sottoscritto il manifesto per una valuta digitale lontana dalla finanza tradizionale. Le operazioni di "mining", ovvero il processo di creazione di bitcoin utilizzando computer che svolgono calcoli complessissimi, è poi iniziato pochi mesi dopo.