Bucha, Borodyanka, Hostomel. Centinaia di morti ammassati nei furgoni refrigerati, in attesa di essere identificati.
KIEV - «Non eravamo preparati a tutto questo». Partiamo da queste parole. La voce che le ha pronunciate, affidandole al Guardian, è quella di un medico legale che opera in un villaggio a pochi chilometri da Kiev. E il suo è un posto in prima fila sullo scempio riemerso dopo il ritiro dell'onda militare russa dalla regione.
L'orrore però è iniziato ben prima di Bucha. Prima di Hostomel e di Borodyanka. I morti negli obitori della capitale ucraina hanno iniziato ad ammassarsi sin dagli ultimi giorni di febbraio, all'alba dell'invasione russa. Prima uno. Altri due il giorno successivo. Arrivati agli inizi di marzo, racconta il quotidiano britannico, lo spazio nelle celle disponibili nei sobborghi di Kiev era ormai già esaurito. Poi sono state scoperchiate le fosse comuni lasciate dai russi. E «nessuno poteva immaginare che saremmo arrivati a questo punto», con centinaia e centinaia di corpi, avvolti in teli impermeabili che virano dal grigio al nero, che hanno trovato temporaneamente accoglienza nei camion refrigerati che sostano di fronte agli obitori stessi.
Non sappiamo quanti civili abbiano finora perso la vita durante il conflitto. Le cifre aggiornate oggi dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno confermato un bilancio di 2'729 persone uccise. Ma consapevolmente aggiunge di ritenere che «i numeri effettivi siano considerevolmente più alti». E quanto emerge proprio da Kiev, tornando alle testimonianze di cui sopra, suggerisce quale possa essere la dimensione di quel «considerevolmente». Nelle parole di Oleh Tkalenko, il vice procuratore capo della regione di Kiev, sono 1'123 le salme recuperate solo nella sua giurisdizione fino a domenica scorsa.
Ci sono i corpi «che abbiamo tirato fuori dalle fosse comuni o che abbiamo trovato per strada». E «ogni giorno» se ne scoprono di nuovi. Spesso brutalizzati. E risalire alla loro identità è nella maggioranza dei casi un lavoro «assai complesso», spiega il dottor Vladyslav Perovskyi, che con il suo team ha condotto decine di autopsie sui resti delle vittime di Bucha, Borodyanka e Irpin; morte durante l'occupazione delle forze russe. Ci sono cadaveri decomposti. Sfigurati. Altri ancora resi irriconoscibili dopo essere stati "calpestati" dai cingoli dei carri armati. Sono quindi «impossibili da identificare». Perché «il volto può essere stato ridotto a pezzi. E non c'è modo di rimetterlo insieme». E «a volte manca del tutto la testa». Un incubo nell'incubo. Come quello di piangere un figlio dopo averlo riconosciuto, in mezzo a decine di corpi, solo grazie a quel tatuaggio che aveva su una spalla.
Immagini e situazioni che fanno sempre più rima con le accuse di crimini di guerra rivolte al Cremlino, tetragono invece nel negare di aver commesso qualsiasi azione violenta contro i civili sul suolo ucraino.