La replica iraniana alle accuse americane dopo l'aggressione di venerdì. Il 24enne assalitore: «Sono innocente»
TEHERAN - Aveva confermato la sua intenzione di impegnarsi in prima persona, con un tour in tutti gli States, per parlare degli scrittori in esilio le cui vite sono in pericolo. Dopo di che è salito sul palco per una conferenza ed è stato assalito da un 24enne armato di coltello.
Diversi colpi che lo hanno raggiunto al torace, alla gola, a un occhio e a una coscia. Ferite gravi che, lo invalideranno a vita, ma dalle quali si riprenderà con un lungo processo di guarigione. Ha davvero del surreale la grave aggressione ai danni del pluripremiato scrittore Salman Rushdie, avvenuta lo scorso venerdì a New York.
Elitrasportato d'urgenza in ospedale, le sue condizioni si sono stabilizzate nel fine settimana. Nei confronti del 75enne indo-britannico, lo ricordiamo, subito dopo la pubblicazione del suo discusso “I Versetti Satanici” era stata emanata una fatwa - una condanna a morte per blasfemia - da parte delle autorità religiose iraniane (nella fattispecie dall'Ayatollah Khomeini).
Un editto che ha finito per tradursi in violenza 33 anni più tardi, per le mani di Hadi Matar un giovane radicalizzato che i media britannici (e non solo) ritengono vicino alla Guardia rivoluzionaria dell'esercito iraniano. Davanti alla corte americana, l'attentatore si è dichiarato non colpevole.
Da qui la vicenda si allarga e prende la china della politica internazionale, con l'intervento duro del segretario di Stato, Antony Blinken. Il dito è ovviamente rivolto in direzione di Teheran: «Sono generazioni che le istituzioni iraniane incitano la violenza nei confronti di Rushdie, questo è inaccettabile. Gli Stati Uniti condannano fermamente queste minacce».
Altrettanto ferma, la risposta da parte iraniana - dopo un'iniziale titubanza - che da una parte nega ogni coinvolgimento ma dall'altra non ammorbidisce la sua posizione nei confronti dello scrittore: «Gli unici responsabili della violenza sono Rushdie e i suoi sostenitori, la libertà di parola non giustificano gli insulti alla nostra religione».