Secondo il segretario Jens Stoltenberg, la città potrebbe infatti «cadere presto»
Di vertice in vertice gli avvertimenti sono sempre gli stessi: l'Ucraina sta vivendo settimane cruciali per l'esito della guerra. I russi spingono, apparentemente incuranti delle enormi perdite che stanno subendo. E mentre i mercenari della Wagner annunciano di aver conquistato la parte orientale di Bakhmut, la fortezza del Donetsk, a Stoccolma i ministri della difesa Ue s'incontrano per discutere come poter fornire a Kiev quel «milione» di munizioni d'artiglieria da 155mm essenziali per reggere lo scontro «d'attrito».
Anche il capo della Nato, Jens Stoltenberg, ha preso parte al consiglio informale - format inedito - e ha portato un messaggio non proprio conciliante: Bakhmut potrebbe «cadere presto».
Va detto che il segretario generale ha subito smorzato il colpo, sottolineando che la capitolazione della cittadina-simbolo della resistenza ucraina nel Donbass non va letta come «una svolta particolare» nell'andamento del conflitto - benché il presidente ucraino Volodymyr Zelensky vada dicendo il contrario - ma semmai un cupo reminder che la Russia «non va sottovalutata». Morale. Siano rinnovati gli sforzi per sostenere l'Ucraina nella sua lotta contro il disegno neoimperiale del Cremlino.
Il ministro della difesa ucraino Oleksii Reznikov ha illustrato per l'ennesima volta le esigenze delle forze armate. Ovvero «sistemi antimissilistici, veicoli di fanteria da combattimento e altri carri armati come i Leopard», così da mettere in campo quel «pugno di ferro» necessario per la «controffensiva». Ma non solo. A Kiev, ha detto, servono «munizioni munizioni munizioni». Gli alleati lo sanno. Tant'è che l'Ue sta lavorando a un piano apposito: l'incognita sono i tempi.
Qui serve una parentesi. Da un lato, infatti, c'è l'Ucraina e i suoi morti giornalieri, dall'altro l'Unione Europea, con i suoi arabeschi burocratici ma pure i suoi legittimi interessi geostrategici. L'alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, ai ministri ha illustrato il piano della Commissione per trovare la quadratura del cerchio: aiutare l'Ucraina e, al contempo, sostenere il proprio settore della difesa - cioè l'industria bellica - anestetizzato da troppi anni di pace. La strategia «in tre fasi» - da prendere in toto, non si può «spacchettare» - prevede donazioni «immediate» di munizioni all'Ucraina, con rimborso attraverso lo European Peace Facility (Epf), pari a un miliardo di euro; appalti congiunti gestiti dall'Agenzia per la Difesa Europea (Eda) per aggregare la domanda e innescare la produzione delle imprese blustellate, così da rimpinguare i magazzini europei e al contempo soddisfare le esigenze ucraine (e sul piatto ci sarebbe un altro miliardo dell'Epf); investimenti sul medio periodo attraverso vari fondi e strumenti Ue per rinforzare la capacità produttiva della suddetta industria bellica, troppo anemica al momento per gestire un cambio di paradigma così repentino.
Il piano sembra aver incassato l'ok di massima dei ministri ma è chiaro che un passo tanto complesso dovrà avere il via libera dei leader al Consiglio Europeo di fine marzo. Restano da sanare le posizioni di chi ha come priorità il fornire le munizioni all'Ucraina, comprando 'chiavi in mano' ad esempio dagli Usa, e chi invece vuole tenere i quattrini in casa, creando posti di lavoro in Europa (e pare che la tendenza sia questa). L'incognita, come si diceva prima, sono i tempi: le forze ucraine comunicano di aver respinto più di 100 attacchi nemici nella regione di Donetsk nelle ultime 24 ore. Stoltenberg ha però indicato che presto la Nato darà «nuove linee guida sulle scorte» rendendo di fatto possibile il piano Ue - cioè svuotare i magazzini sapendo di poterli riempire in tempi brevi.
L'industria bellica europea deve entrare «in modalità di guerra», ha avvertito lo zar del mercato unico Thierry Breton. Gli 007 Usa sono certi che Vladimir Putin creda ancora di poter piegare l'Ucraina: la pace si allontana sempre di più dall'orizzonte.