Le autorità temono un nuovo sei gennaio
NEW YORK - Allerta a New York per il 'ciclone' Donald Trump. L'invito del tycoon a manifestare contro un suo possibile arresto preoccupa le forze dell'ordine e obbliga a preparativi meticolosi per evitare il ripetersi di un nuovo 6 gennaio.
Dietro le quinte si lavora ininterrottamente cercando di individuare la strada migliore da seguire, un compito non facile visto che non ci sono precedenti a fare da guida. Trump potrebbe essere infatti il primo ex presidente incriminato della storia americana e, quindi, non c'è un copione da seguire.
Contro eventuali proteste violente si schierano molti repubblicani, anche alcuni dei fedelissimi del tycoon. Pur facendo muro in sua difesa e ritenendo la sua possibile incriminazione una 'persecuzione politica', i conservatori alleati di Trump incitano alla calma.
«La violenza non sarà tollerata», dice a chiare note l'ex vicepresidente Mike Pence che il 6 gennaio era in Congresso al momento dell'attacco con i manifestanti che lo cercavano per impiccarlo sotto l'egida di Trump.
Nonostante questo Pence attacca l'attesa incriminazione ritenendola una persecuzione un po' come - a suo avviso - lo furono le indagini sul Russiagate. A gettare acqua sul fuoco delle proteste è anche l'alleata di ferro dell'ex presidente Marjorie Taylor Greene che, pur criticando la procura di Manhattan, afferma: «Non c'è bisogno di manifestare contro i democratici comunisti che vogliono arrestare Trump e contro l'uso del nostro governo come arma» politica.
Appelli alla calma che non tranquillizzano le forze dell'ordine, intenzionate a fare del loro meglio per evitare scontri violenti. Preoccupato di quanto potrebbe accadere è il procuratore di Manhattan Alvin Bragg: in una nota rassicura il suo staff che la sicurezza è la «priorità» e che le forze dell'ordine indagheranno su «ogni specifica e credibile minaccia» contro la procura.
«Non tollereremo tentativi di intimidazione», aggiunge. Secondo indiscrezioni, sarebbe stata proprio la procura a chiedere incontri con le forze dell'ordine per la sicurezza e la pianificazione di quella che si prospetta una giornata storica, con la prima incriminazione della storia per un ex leader Usa.
Al di là di quanto dichiarato da Trump senza alcuna prova, una data precisa per la possibile accusa formale ancora non c'è. Un altro testimone sarà sentito lunedì dal grand jury e non è chiaro, riporta Cnn, se si tratti dell'ultimo o se ce ne siano ancora altri. Anche nel caso in cui fosse l'ultimo è difficile che il grand jury possa pronunciarsi già domani e soprattutto che un'incriminazione arrivi così a stretto giro martedì.
L'accelerazione dei tempi decretata da Trump è legata alla volontà dell'ex presidente di fomentare il suo popolo nella convinzione, avrebbe confessato lo stesso tycoon ai suoi più stretti consiglieri, che l'incriminazione gli gioverà politicamente, probabilmente rilanciando le sorti della sua campagna per il 2024.
Un'analisi che molti osservatori ritengono sia corretta: il caso del pagamento alla pornostar Stormy Daniels sul quale dovrebbe essere incriminato è, secondo gli esperti legali, difficile da dimostrare almeno sulla carta.
Molto dipenderà dalle prove raccolte e dal tipo di accuse formali che saranno mosse all'ex presidente, su cui ancora non c'è alcuna indicazione. In ogni caso la possibilità che Michael Cohen, l'ex fixer del tycoon, possa essere il principale testimone suscita delle perplessità in quanto la sua credibilità potrebbe essere messa in discussione dalla difesa.
I democratici e i nemici di Trump attendono di conoscere i dettagli dell'accusa della procura di Manhattan consapevoli delle conseguenze che avrà. La paura di una spaccatura del paese, di proteste e di una nuova vittoria del tycoon nel 2024 preoccupano non poco.
I liberal dietro le quinte stanno affilando già le armi per difendersi dall'accusa di voler usare la giustizia americana come un'arma perché incapaci di vincere alle urne.
I nemici repubblicani dell'ex presidente lo attaccano invece con l'obiettivo di far voltare pagina al partito che con il «presidente di Teflon», come alcuni lo hanno definito, deve chiudere per guardare avanti e affidarsi a un giovane, forse a quel Ron DeSantis che attende in silenzio di essere chiamato come salvatore.